13Settembre2010 Mille colline, mille problemi, mille soluzioni

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(foto di Elena Francesca Miglio)

Mille colline, mille problemi, mille soluzioni. Così Didacienne, peacekeeper ed attivista internazionale racconta il suo paese, il Rwanda. A sedici anni dal genocidio, la società ruandese si mostra vitale e pulsante, nonostante le insanabili ferite ed il lutto da cui nessuno è stato risparmiato.

Donne, uomini, giovani, bambini e bambine che si confrontano giorno per giorno con la sfida del “NEVER AGAIN”, assunta come priorità collettiva. L’autorganizzazione in Rwanda è una pratica estesa e radicata nella vita di persone, villaggi e comunità. Una costellazione di associazioni, gruppi formali e non, reti di supporto e solidarietà, combinano attività molto concrete di microsviluppo economico a pratiche di confronto e condivisione di tematiche politiche ed esistenziali, prime fra tutte la violenza e l’elaborazione del trauma.

In questo quadro, il campo di lavoro e di conoscenza è stata un’occasione importante, di crescita profonda e di riflessione, su come sia imprescindibile l’attivazione personale e generalizzata per incidere realmente sulle trasformazioni della contemporaneità e sull’idea di futuro.

L’associazione che ci ha accolto, Sevota, è attiva in particolare sulla questione della violenza di genere e del sostegno all’infanzia. I gruppi locali si espandono e si moltiplicano dal 1995. Ci si ritrova e ci si organizza per far fronte alle difficoltà materiali: si può acquistare del bestiame, iniziare un piccolo commercio o un’attività artigianale in una modalità inclusiva e partecipativa, in cui ogni membro è al contempo promotore e beneficiario delle attività. Si cercano e si trovano finanziamenti per progetti di promozione sociale ed educazione alla genitorialità. Ci si confronta sulla violenza, in particolare quella di genere, con uno spiccato protagonismo delle donne e dei giovani ma con la tensione a coinvolgere tutti, nell’assunzione dello spazio pubblico come luogo d’azione e di cambiamento. Si condivide l’intimità del trauma e si tenta di affrontarlo con strumenti creativi e coinvolgenti come la danza e la musica.

Molti i gruppi che abbiamo incontrato e i contesti che abbiamo approfondito, in un turbine di viaggi in autobus stipati, discussioni e confronti serrati e continui, giochi e balli liberatori. Lo scambio inteso come stimolo alla ricerca, la diversità affrontata con curiosità e l’accoglienza come modalità di relazione con l’altro, sono stati i principi che hanno animato la nostra avventura.

“Tornate in Italia e raccontate a parenti e amici che il Rwanda non è quello che raccontano i giornali stranieri, luogo di violenza e furia etnica”. Questa la richiesta che ci veniva fatta spesso, con la consapevolezza dell’incapacità della stampa e della politica mondiale di leggere le contraddizioni nella loro complessità, in un paese che ha pagato a caro prezzo l’ingerenza politica internazionale.

Credo che non sarà difficile, per i volontari e le volontarie del campo in Rwanda 2010, riportare in Italia un po’ di energia e di passione dalle mille colline.

Aida Nahum, tutor del campo di lavoro in Rwanda

Se volete leggere ancora un pò sull’esperienza nel Paese delle mille colline, in allegato il racconto di Silvana, partecipante al campo.

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