27Agosto2013 L’Italia riprenda relazioni diplomatiche dirette coi leader politici di Hezbollah

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Arci è da sempre vicina alla popolazione libanese, che vive in una situazione di conflitto civile permanente dalla fine degli anni ‘70, in quello che Robert Fisk chiama Il martirio di una nazione. La crisi siriana ha riaperto antiche piaghe, perché proprio Israele e Siria hanno più volte violato i confini, occupato e colpito il Libano, ieri e oggi drammaticamente ‘invaso’ da profughi in fuga o cacciati da questi due Paesi.

La secolarizzazione del potere di clan familiari che si fronteggiano per interessi contrastanti e per orientamenti religiosi nel Paese dei Cedri non è in sé una questione di politica interna, è legata alle dinamiche, agli equilibri e alleanze nella Regione.

Subito dopo la fine del conflitto israelo-palestinese dell’estate 2006, l’Italia si è mobilitata per far fronte all’emergenza post guerra in Libano, ha accettato la sfida complicata e rischiosa, non solo politicamente, del comando UNIFIL nel Sud del Paese.

Ma soprattutto ha sostenuto e anche promosso l’azione congiunta di ong, società civile, enti locali e regioni, università, aziende ospedaliere e settore privato per la ricostruzione materiale e sociale del Libano.

Da allora, per 4 anni, la popolazione libanese, di qualunque estrazione sociale, orientamento politico e religioso, da Tripoli alla Bequaa, da Beirut al Monte Libano, da Sidone all’estremo Sud controllato da Hezbollah, ha incontrato professionisti, cooperanti, amministratori locali italiani. E tanti giovani volontari che hanno trascorso alcuni periodi dell’anno con i ragazzi nei campi palestinesi, tra le bambine e i bambini sciiti lavoratori, con i giovani isolati dal resto del Paese nelle zone di confine.

L’Arci, dal 2002, ha realizzato con continuità iniziative e progetti di solidarietà, cooperazione e volontariato internazionale con partner delle comunità locali in tutte le aree del Libano. Arci Toscana è oggi impegnata in un programma di formazione e sviluppo locale con fondi europei in alcune municipalità governate da esponenti Hezbollah.

L’Arcs, ong dell’Arci, nell’ultimo anno ha realizzato iniziative umanitarie per profughi siriani, donne e giovani in particolare, nella Valle della Beqaa, in accordo con istituzioni legate al movimento Hezbollah.

Nei giorni scorsi il nostro Governo ha sottoscritto insieme ai Ministri degli Esteri europei una delibera che definisce ‘terrorista’ l’ala armata di Hezbollah. Questo impedisce ai militari dell’esercito di ‘resistenza’ di entrare nei Paesi Ue e comporta il congelamento dei soldi depositati nelle banche europee. Si tratta di una scelta politica diversa da quella dei Governi statunitense e inglese, che mettono sullo stesso piano militari e politici Hezbollah, ma incrina di fatto le relazioni, fino ad oggi importanti, tra le istituzioni di Bruxelles e i leader del movimento di resistenza del Sud del Libano, con cui erano stati mantenuti dialogo aperto e anche aiuto diretto per evitare riprese cruente di conflitto civile e verso Israele.

Se pure la Ministra degli Esteri Emma Bonino dichiara che «il dialogo con Hezbollah deve continuare per non indebolire ulteriormente il Paese», l’Arci esprime preoccupazione per le conseguenze della decisione europea, sottoscritta anche dall’Italia.

Ci sono cooperanti, volontari, professionisti italiani che stanno lavorando in progetti soprattutto sostenuti da fondi della cooperazione internazionale italiana ed europea e attivi con le Agenzie Internazionali nell’aiuto ai profughi siriani nelle zone controllate dalle forze politiche e militari del movimento Hezbollah.

Alcuni comitati dell’Arci e la sua ong Arcs hanno in Libano operatori attivi nei progetti, che diventano fortemente esposti dopo la sottoscrizione della dichiarazione europea, laddove per ritorsione possa evidenziarsi qualche isolata posizione estremistica: fino ad oggi questo tipo di deriva terroristica è stata controllata dal movimento Hezbollah, che ne ha anche pagato le conseguenze con l’ultimo attentato di Beirut Sud.

Condannare l’uso delle armi e della violenza per la soluzione dei conflitti è determinante, è quanto devono perseguire le diplomazie: in questo caso, però, si è usata l’accusa di ‘terrorista’ per un esercito di movimento che, se pure è lecito sia indotto a deporre le armi, non è dimostrato che abbia agito in tal senso.

La scelta dei ministri degli esteri europei è dunque intempestiva e destabilizzante per il Libano, dove rischiano così di radicalizzarsi posizioni interne in un contesto regionale di crisi.

Sulla vicenda siriana l’Europa tarda a definire posizioni chiare e a tradurle in atti concreti, soprattutto in termini di azione per la difesa dei diritti umani e di aiuto umanitario.

L’Europa a livello internazionale deve autorevolmente porre la questione del diritto alla democrazia e alla vita per le vittime del conflitto civile in Siria, con la condanna decisa ad ogni sostegno armato esterno e l’attenzione a mantenere un dialogo aperto per la stabilità e la collaborazione dei Paesi al confine, quindi in primo luogo il Libano.

L’Italia ha le credenziali e il curriculum storico per essere protagonista in Europa di questo processo, perchè nelle crisi in Medio Oriente si è sempre attivata in tal senso.

La firma della delibera europea certo non aiuterà a fare passi in avanti rispetto alla mission dell’UNIFIL nei tempi stabiliti, col rischio di portare la popolazione dei Municipi Hezbollah a vedere la ‘missione di pace’ da oggi come un’occupazione illegittima di controllo del territorio, con conseguenti peggioramenti nelle relazioni con l’Italia, Paese maggiormente esposto.

L’Arci chiede al Governo italiano di riprendere con convinzione relazioni diplomatiche dirette con i leader politici del movimento Hezbollah, in termini di riaffermazione effettiva del sostegno alla ricostruzione e alla pacificazione del territorio e di valorizzazione del percorso di cooperazione e solidarietà che sta portando avanti la sua società civile, a partire dalle ong e dalle associazioni di volontariato presenti nel Paese.

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