29Aprile2014 Riforma della legge sulla Cooperazione Internazionale

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di Giancarlo Malavolti, esecutivo AOI

L’impegno della società civile nelle prossime settimane potrebbe essere determinante per trasformare il testo di legge governativo sulla cooperazione in una buona legge, coerente e adeguata ai tempi.

Come è noto fra gli ultimi atti del governo Letta è stato approvato un DDL governativo di riforma della legge sulla Cooperazione. Dopo innumerevoli e inutili tentativi di aggiornare la legge n.49 che risale al 1987 si spera proprio  che questa sia  la volta buona. Di una nuova legge c’è veramente bisogno, nessuno ne dubita, ma non serve una legge qualsiasi. Bisogna che risponda  ai mutamenti internazionali  degli ultimi 27 anni e al rinnovamento della Cooperazione.  Bastano poche parole per evocare in ognuno di noi i cambiamenti: muro di Berlino, guerre in Ex-Jugoslavia, Internet, paesi BRICS, migrazioni-Mediterraneo etc.

O la nuova legge si misura  con queste novità oppure nascerà  vecchia.

Il rischio c’è perché il testo in esame alla Commissione Esteri del Senato  ricalca, a  volte in peggio, precedenti versioni messe a punto nella scorsa legislatura in accordo fra l’allora maggioranza e l’allora opposizione. Non è il testo auspicato da quanti hanno a cuore le sorti della pace, dei diritti umani, dei beni comuni e della equità fra e dei popoli, è un testo ambiguo e assai poco innovativo, ma, va detto subito, il Governo  si è dichiarato aperto ad emendamenti anche significativi.

La pressione politica della società civile, insieme agli Enti locali e alle forze sociali sul Parlamento può  quindi fare la differenza  rafforzando e dando coerenza a quanto  c’è di nuovo, integrando dove sia carente.

 

Le Ong, in accordo con EELL, Terzo settore e Sindacati,  hanno messo a punto e inviato al relatore e ai senatori della commissione Esteri un pacchetto di emendamenti  compatibili con il testo base, ma tali da  cambiare decisamente il segno della legge. Essi tendono a trasformare un testo che regolava la mera gestione di fondi pubblici in una legge generale sul sistema nazionale di cooperazione, e di conseguenza riconoscere la pluralità degli approcci e dei soggetti, l’autonomia e la pari dignità di tutti gli attori non statali, la necessità di praticare il principio di sussidiarietà.

In particolare si tratta di:

Abbandonare l’approccio e il termine ” aiuto” a favore del partenariato e della reciprocità. Di porre l’attenzione ai temi della pace, dei diritti umani, della sostenibilità dello sviluppo, della reale separatezza con interventi militari;

Trarre le dovute conseguenze dalla novità del nome proposto (da MAE a MAECIMinistero degli affari esteri e della cooperazione internazionale). Cioè: la  non subalternità della Cooperazione alla politica estera e alle necessità diplomatiche, la duplicità degli obiettivi della nuova compagine ministeriale, e quindi la obbligatorietà della delega piena ad  un Viceministro, la necessità che tutte le risorse pubbliche dedicate alla Cooperazione siano ricondotte ad una gestione unitaria.

Garantire la gestione efficiente ed efficace delle risorse della cooperazione pubblica da parte di personale esperto, dedicato e non transitorio, mediante la creazione di un’Agenzia autonoma e la trasformazione della DGCS in strumento di sostegno al Viceministro. Vigilando per evitare la nascita di un ennesimo carrozzone o di una mega Ong pubblica che gestisce progetti e cooperanti.

Dare massima efficacia al sistema di Cooperazione nazionale praticando la concertazione e il coordinamento. Dando peso effettivo ad un Consiglio nazionale (invece di una generica “conferenza”) dei soggetti della cooperazione  dotandolo di strumenti operativi stabili, per evitare che sia solo una passerella annuale di buone intenzioni. Prevedere inoltre una vera conferenza periodica che si rivolga alla opinione pubblica.

Riconoscere e perciò sostenere il volontariato e l’impegno civile internazionale quale colonna portante della Cooperazione fra popoli, ben oltre la mera gestione del denaro.

Dare il giusto peso alle Ong, soggetti della società civile che garantiscono professionalità, esperienza e affidabilità, senza farne una categoria esclusiva o una corporazione.  Legare l’accesso ai fondi al criterio di “eleggibilità”, praticato in Europa, abbandonando quello di “idoneità”.

Mettere precisi  confini e limiti all’ inserimento del mondo delle imprese profit nella Cooperazione.

La lista degli emendamenti messa a punto dalle Ong è lunga e dettagliata, e consultabile rivolgendosi all’AOI (ong@ong.it). Entro la prima settimana di maggio sapremo quali di essi saranno accolti dalla Commissione Esteri del Senato e quali no. Poi la battaglia si sposterà nell’Aula del Senato e infine, se sarà necessario alla Camera. La vicenda dunque è solo all’inizio, ma  le probabilità di raggiungere un buon risultato sono più alte di altre volte, grazie al lavoro minuzioso, costante e unitario svolto fin qui della società civile. Dobbiamo continuare a fare pressioni senza stancarsi.

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