23Luglio2014 Una buona legge per una cooperazione all’altezza delle sfide globali

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Dopo i numerosi tentativi ripetuti e puntualmente falliti nelle scorse legislature, la Camera ha finalmente approvato la nuova legge sulla cooperazione internazionale. E’ una buona notizia per le Ong e le associazioni attive nel settore che da almeno vent’anni chiedevano una riforma radicale che adeguasse la vecchia Legge 49 del 1987 ad una visione alta della cooperazione italiana come parte essenziale di una politica estera tesa allo promozione della pace, dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile. Una legge che fosse capace di porre alcuni punti fermi sulla coerenza delle politiche e sulla trasparenza delle modalità di finanziamento della cooperazione, ma anche di favorire l’ampliamento della partecipazione e garantire un più efficace coordinamento fra l’intervento statale, i partenariati territoriali e le diverse forme di impegno della società civile.

Non c’è dubbio infatti che – così come dal 1987 ad oggi è mutato lo scenario geopolitico, socio economico, culturale del mondo globalizzato – altrettanto profondo è stato il processo di cambiamento dei contenuti e degli stessi attori della cooperazione, che non è più prerogativa esclusiva delle tradizionali Ong. Una nuova consapevolezza dell’interdipendenza e della dimensione globale dei problemi si è diffusa anche nel nostro paese trovando terreno fertile nella radicata tradizione solidaristica della società italiana e nell’azione di associazioni, sindacati, enti locali, gruppi di cittadini. Nel senso comune del paese si fa largo la convinzione che aiutare l’affermazione della pace, della giustizia e dei diritti umani nel mondo sia una condizione necessaria per costruire un futuro migliore anche per noi.

Ma questo presuppone che la cooperazione si liberi dell’approccio caritatevole (e talvolta interessato) che l’ha caratterizzata in passato, per sposare la pratica di relazioni paritarie fra le comunità orientate alla conoscenza e al reciproco sostegno, al dialogo fra culture e religioni, all’accrescimento civile e al rafforzamento della partecipazione democratica, perché anche le società e non solo i governi possano avere la forza di orientare i cambiamenti epocali che stiamo vivendo. Una cooperazione che si propone quindi di favorire il cambiamento tanto nel nord quanto nel sud del mondo contribuendo a cambiare le politiche economiche, commerciali, militari che sono causa degli attuali squilibri.

Una cooperazione che promuove lavoro dignitoso, reti di economia civile, commercio equo, finanza etica, sovranità alimentare, biodiversità, energia sostenibile. Che si lega alle politiche di accoglienza valorizzando il ruolo dei migranti come attori dello sviluppo dei propri paesi di origine. Che coglie il nesso fra pace e garanzia dei diritti umani per tutti; che assume la giustizia globale come condizione dello sviluppo, a partire dalla cancellazione del debito illegittimamente imposto al sud del mondo. Obbiettivi ambiziosi, che sapremo perseguire solo se la nostra cooperazione diventerà parte essenziale di una politica estera attiva nella promozione della pace e dei diritti umani nel mondo, protagonista nel contesto europeo e in particolare nella dimensione euromediterranea.

La riforma va indubbiamente in questa direzione, non solo nella definizione degli obbiettivi e finalità elencati all’articolo 1, ma anche con alcune importanti scelte lessicali come quella di sostituire la locuzione “aiuto pubblico allo sviluppo” con “cooperazione per lo sviluppo”. Questione non solo formale, se crediamo che la cooperazione non sia solo dare aiuto a chi soffre, ma operare per rimuovere le cause di quella sofferenza e aiutare chi la subisce ad essere protagonista del proprio riscatto. Coerenti con la scelta di un più stretto legame con la politica estera sono anche la nuova denominazione del Ministero che diventa “degli affari esteri e della cooperazione internazionale”, la previsione di un Viceministro con delega specifica alla cooperazione e di un Comitato interministeriale per la programmazione triennale degli interventi, da sottoporre al parere preventivo del Parlamento.

Decisamente importante – forse il cambiamento più radicale – è la scelta di affidare l’attuazione delle politiche di cooperazione ad una apposita Agenzia indipendente, in modo da garantire più efficienza nella gestione, tempi più rapidi per l’avvio degli interventi, maggiore unitarietà delle iniziative e trasparenza. Certo, resta il limite delle risorse ancora ampiamente insufficienti, che sarebbe stato utile riunire in un fondo unico presso il Ministero degli esteri e della cooperazione e che nei prossimi anni dovranno essere incrementate fino a raggiungere gradualmente i livelli previsti dagli impegni internazionali già assunti dal nostro paese.

La legge contiene innovazioni significative anche per quanto concerne gli attori coinvolti, con il superamento della vecchia “idoneità” e la previsione di un nuovo elenco nazionale al quale avranno accesso con pari dignità non solo le tradizionali Ong ma anche gli enti locali e i diversi soggetti della società civile profit e non profit che operano nel settore, comprese le associazioni di volontariato e quelle di promozione sociale. Anche queste organizzazioni contribuiranno alla definizione della programmazione triennale attraverso la loro rappresentanza nel Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo. Inoltre, anticipando su questa materia l’opera di riordino complessivo che sarà oggetto dell’imminente disegno di legge delega sul terzo settore, oltre ad elencare dettagliatamente i soggetti non profit che possono accedere all’elenco e svolgere attività di cooperazione, il testo precisa la fisionomia di tali attività sotto il profilo fiscale confermandone la natura non commerciale.

Infine, due parole sul metodo seguito. Memori dell’insuccesso dei precedenti tentativi di riforma arenatisi non solo per le divisioni parlamentari ma anche per la frammentazione della società civile, stavolta i diversi soggetti coinvolti hanno cercato una sintesi unitaria. Il testo approvato è infatti il risultato di un intenso lavoro di confronto fra Parlamento, partiti politici sia di maggioranza che di opposizione, Governo, reti delle Ong di cooperazione internazionale, Forum del Terzo Settore, Regioni e Autonomie locali. Questo ha consentito di raggiungere il necessario equilibrio fra le diverse esigenze e di produrre una buona legge che delinea, nel modello gestionale e negli indirizzi politici, una cooperazione finalmente all’altezza delle grandi sfide globali che abbiamo di fronte.

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