24Luglio2014 Medici italiani e inglesi su Lancet: “Chi non denuncia l’aggressione di Israele è complice”

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di Ranieri Salvadorini su Repubblica.it

“Siamo medici e scienziati che spendono la loro vita nella cura e nella tutela della salute e della vita umana. Tutti noi abbiamo lavorato a Gaza e da anni conosciamo la sua situazione e denunciamo ciò a cui stiamo assistendo nell’aggressione di Gaza da parte di Israele”. Inizia così la lettera di denuncia che medici italiani e inglesi, in contatto con i colleghi a Gaza, palestinesi e occidentali, hanno affidato alla prestigiosa rivista britannica Lancet.

Gaza, situazione inacettabile. Conosciamo Gaza, conosciamo la sua gente: “sta resistendo a questa aggressione per una vita migliore e normale e, pur piangendo nel dolore, sofferenza e terrore, rifiuta una tregua temporanea che non prevede una possibilità reale per un futuro migliore”. Meglio la morte che tornare nella prigione a cielo aperto dell’occupazione, in parole povere, come testimoniano le parole di Um Al Ramlawi riprese nella lettera e che esprimono il sentimento della società civile palestinese: ”Ci stanno ammazzando tutti comunque – che sia una morte lenta per l’assedio, o una rapida da attacchi militari. Non abbiamo nulla da perdere – dobbiamo lottare per i nostri diritti, o morire”.

Assenza di contesto. “Non si comprende la rivolta palestinese se non si conosce il contesto dell’occupazione, se non c’è percezione della sua brutalità quotidiana”, afferma Angelo Stefanini, direttore del Centro di salute internazionale dell’Università di Bologna, che a Gaza ha promosso programmi di salute pubblica per l’OMS e per il Governo italiano, “e il contesto è tutto”. Gaza è bloccata per mare e terra dal 2006 – scrivono i medici – nessuno può uscire attraverso gli unici due posti di blocco, Erez o Rafah, senza autorizzazione speciale degli israeliani e degli egiziani, difficile se non impossibile per molti da ottenere. E all’estero i palestinesi non possono andare né per studiare, né per lavorare o per visitare le proprie famiglie. A questo si aggiunge il blocco dei movimenti, delle merci, delle medicine e dell’agricoltura. Una vita scandita dalle umiliazioni ai check point, dove spesso feriti e malati muoiono – riferisce Stefanini – perché impossibilitati a raggiungere strutture di cura adeguate.

Violenza senza precedenti. L’aggressione israeliana terrorizza anche coloro che non sono direttamente colpiti “e ferisce l’anima, la mente e la resilienza delle giovani generazioni”, scrivono. E a rimetterci sono soprattutto donne e bambini, uccisi “sotto il pretesto inaccettabile di Israele di sradicare i partiti politici e la resistenza all’occupazione illegale e all’assedio” – scrivono i medici a più riprese. Gli effetti ci sono sul piano psicologico, perché “non c’è nessuno a Gaza che non sia traumatizzato, chiunque abbia più di 6 anni di età ha già vissuto il suo terzo attacco militare da parte di Israele”, ma non solo: “vengono utilizzate armi che causano danni a lungo termine alla salute di tutta la popolazione; in particolare armi a non frammentazione e bombe a testata pesante”.

Chi non denuncia è complice. Denunciano i medici che “il comportamento di Israele ha insultato la nostra umanità, intelligenza e dignità, così come la nostra etica e sforzi professionali. Anche quelli di noi che vogliono andare e portare aiuto non sono in grado di raggiungere Gaza a causa del blocco”. E chiudono: “La terra è avvelenata da detriti di armi con conseguenze per le generazioni future. Se quelli di noi in grado di farsi sentire non prendono posizione contro questo crimine di guerra, sono anch’essi complici della distruzione delle vite e delle case di 1,8 milioni di persone a Gaza”.

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