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L’aggiornamento di questa settimana riguarda l’analisi di un argomento di attualità, quello dei diritti del mondo LGBT (lesbian, gay, bisexual, and transgender) in Libano. Il Paese dei cedri, infatti, è molto conosciuto nel mondo LGBT, e non solo perché nel 2006 è stato il primo Paese arabo ad ospitare un Gay Pride. In effetti, l’intensa e variegata vita notturna della sua capitale Beirut rappresenta un unicum in Medio Oriente (se si esclude Israele) e per questo si tende a considerare questo Paese come liberal quando si parla dei diritti LGBT. Chi ha frequentato i locali del centro e le feste sulla spiaggia di Batroun, in realtà, potrebbe essersi fatto la stessa idea. Ma questa è soltanto una parte della verità.
E’ vero che il Libano nel 2013 è stato il primo Paese arabo a non considerare più l’omosessualità un disturbo mentale, ma è altrettanto vero che l’articolo 534 del Codice Penale Libanese asserisce che “Qualunque rapporto sessuale contro natura è punibile fino ad un anno di reclusione” e questo articolo viene ogni giorno utilizzato per reprimere la comunità LGBT.
Se fino a qualche anno fa il tema dei diritti degli omosessuali era un tabù di cui non si parlava, oggi invece se ne parla e si tende a dare molto risalto alle notizie che riguardano la chiusura di locali e i luoghi di ritrovo. Politici e amministratori in più di un’occasione si sono eretti a difensori della morale pubblica autorizzando raid della polizia in locali gay-friendly, come ad esempio lo scorso anno a Tripoli quando in seguito ad un’irruzione in un cinema, 36 uomini sono stati arrestati e sottoposti ad un’ispezione rettale.
Nonostante le numerose difficoltà, però, le associazioni sono molto attive e non hanno mai interrotto la battaglia per cambiare l’articolo 534. In particolare, in prima linea su questo fronte si trova l’associazione Helem, che dal 2004 cerca di fare lobbying sul governo nonostante a tutt’oggi non abbia ancora ricevuto la conferma dell’avvenuta registrazione presso il Ministero dell’Interno libanese.
La scorsa primavera, inoltre, un’importante battaglia è stata vinta dal movimento arcobaleno libanese. Una transgender era stata accusata di avere avuto un rapporto sessuale con un uomo ed era stata richiesta la reclusione, in accordo con il codice penale. Il giudice Naji El Dahdad però ha rigettato il caso sostenendo che l’identità sessuale di una persona non è definita soltanto dai documenti, ma che bisogna tenere in considerazione anche la percezione che una persona ha di sé; in secondo luogo ha argomentato che l’omosessualità è un’eccezione alla norma, ma non è da considerarsi contro natura e quindi non può rientrare nelle casistiche dell’articolo 534. Per gli attivisti, questa storica sentenza ha rappresentato una doppia vittoria dal momento che è stata anche la prima sentenza riguardante una cittadina transessuale.
La strada è ancora lunga, ma qualcosa, seppur lentamente, comincia a muoversi e forse l’impegno e la tenacia degli attivisti libanesi verrà ricompensata, se non dal governo, almeno da quella parte della società che sempre più spesso si rifiuta di accettare le continue vessazioni nei confronti della comunità LGBT.
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