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Articolo pubblicato sul “The New York Times” il 27 Ottobre, 2014 – Traduzione di Manuela Ecate
Mia madre, Zakia, era cosi’ orgogliosa del fatto che io e mia sorella parlassimo meglio l’ebraico dell’arabo. Osman, mio padre, riteneva che raggiungendo il piu’ alto livello educativo, noi saremmo state trattate come eguali nel nostro paese, Israele. Lui credeva fortemente che i Palestinesi che fossero in grado di esporre la loro narrativa avrebbero conquistato il cuore e le menti degli Ebrei Israeliani
I miei genitori credevano nella promessa di una democrazia che trascendesse l’etnia. Credo ancora in quel sogno seppure questo, sia messo alla prova ogni volta che torno a casa. Sono una cittadina israeliana, sposata con un ebreo americano, nonostante questo non sono benvenuta in Israele poiche’ sono Palestinese.
Durante una mia recente visita, mio marito ha superato con facilita’ i controlli di sicurezza all’aeroporto di Ben Gurion ma io e la nostra figlia adolescente, che abbiamo la doppia cittadinanza italiana e israeliana, siamo state perquisite. Sono assueffatta a queste procedure: devo sopportarle ogni qualvolta io entri o esca dal Paese. Ma nostra figlia di 17 anni ha detto piangendo per la mortificazione: “Questo posto genera odio ovunque!”.
In occasione di quello stesso viaggio, ho tentato di rinnovare il suo passaporto israeliano. “Lei non e’ Ebrea”, mi disse un funzionario ” non e’ dunque certo che abbia diritto alla cittadinanza”
Per i Palestinesi israeliani – e noi costituiamo il 20% della popolazione – questo sono umiliazioni abituali. Ma mi domando cosa avrebbero fatto i miei genitori, oggi entrambi morti, di fronte ai graffiti recentemente apparsi sui muri della nostra casa di famiglia ad Haifa, una citta’ mista situata nel nord di Israele.
Si legge “Morte agli Arabi”.
Durante la recente guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, mia cugina stava passeggiando sulla spiaggia vicino casa sua, anch’essa in Haifa. Ascolto’ di nascosto un gruppo di bagnini Israeliani mentre discutevano su come l’Esercito Israeliano avrebbe dovuto comportarsi con i residenti di Gaza – “Semplicamente uccidiamoli tutti”, senti’ dire da uno di questi.
Lei mi disse “Non ho mai provato un tale terrore in 32 anni” – “Non voglio che sappiano che sono
Palestinese”
Israele sta gradualmente incrementando il progetto di purezza ed esclusivita’ etnico-religiosa. I partiti Sionisti Religiosi e quelli ultra-Ortodossi occupano tra i 30 ed i 120 seggi all’interno della Knesset, e la coalizione di governo include membri della Casa Ebraica, un partito sionista religioso, e Yisrael Beiteinu, un partito nazionalista di destra. Il focus delle loro politiche e’ incentrato in un
programma di legislazione discriminatoria, destinato a limitare i diritti civili dei cittadini palestinesi di Israele.
La principale tra le oltre 50 leggi discriminatorie israeliane documentate da Adalah , il Centro Legale per i diritti della minoranza araba in Israele che ha sede a Haifa, e’ la Legge del Ritorno, la quale garantisce automaticamente la cittadinanza israeliana per ogni Ebreo senza considerare il suo luogo di nascita. Spesso, sono collocati nelle colonie della Cisgiordania (illegali secondo la legge internazionale), dove ricevono sussidi governativi. I cittadini Palestinesi Israeliani, invece, sono soggetti a divieti in materia di riunificazione familiare: qualori sposino un Palestinese della Cisgiordania, secondo la Legge sulla Cittadinanza ed Entrata in Israele, non possono vivere in
Israele.
Nel mese di Settembre, la Corte Suprema Israeliana ha respinto una petizione sfidando la Legge sui Comitati di Ingresso, che permette alle comunita’ di rifiutare una richiesta di alloggio sulla base di un'”idoneita’ culturale e sociale” – un pretesto legale per negare la residenza ai non-Ebrei. In
pratica, anche prima che la legge passasse, era virtualmente impossibile per un Palestinese comprare o affittare una casa in ogni citta’ a maggioranza Ebraica.
La separazione etnica, inoltre, e’ mantenuta dal sistema educativo. Escludendo le poche scuole miste, la maggior parte delle istituzioni educative in Israele sono divise in Arabe e Ebraiche. Secondo Nurit Peled-Elhanan, Docente di Sociologia presso l’Universita’ Ebraica che ha prodotto la piu’ completa indagine sui curricula delle scuole pubbliche israeliane, non esiste alcun riferimento positivo ai Palestinesi nei testi scolastici delle Scuole Superiori. I Palestinesi sono descritti come
“Contadini arabi senza nazionalita'” o con un termine tremendo come “terroristi” secondo quanto la Docente Peled-Elhanan ha documentato nel suo libro “La Palestina nei Testi Scolastici Israeliani: Ideologia e Propaganda nell’Educazione.”
Il sistema di segregazione Israeliano ha portato ad una situazione in cui, secondo un recente sondaggio, il 42% degli Ebrei afferma di non aver mai conosciuto un Palestinese.
Storicamente, gli Ebrei ultra-Ortodossi, non servivano nelle forze armate. Oggi lo fanno a tutti i livelli, incluse le piu’ importanti unita’ dell’elite militare israeliana, come le forze Sayeret Matkal e l’Unita’8200, tra le cui responsabilita’ e’ inclusa lo spionaggio di ogni Palestinese che sia sospettato di “minaccia alla sicurezza”.
A differenza di ogni funzionario dello Shin Bet, l’equivalente israeliano del FBI, Yoram Cohen, che oggi dirige l’Agenzia, e’ un ebreo religioso. Questo cambiamento e’ tipico della societa’ Israeliana. La piu’ grande integrazione di Ebrei ultra-Ortodossi offre chiari benefici agli Ebrei Israeliani, ma per i cittadini Palestinesi Israeliani, ha rappresentato una nuova forma di razzismo di ispirazione religiosa, che si aggiunge alla secolare discriminazione.
I leader nazionali promuovono con orgoglio politiche dell’odio. Il Ministro degli Esteri Israeliano e il leader del partito secolare nazionale Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, ha perorato l’appello al boicottaggio di aziende di cittadini Palestinesi di Israele e, minacciosamente, ha persino invitato a effettuare il “trasferimento ” di Palestinesi legalmente riconosciuti*. Il Segretario di Stato John
Kerry ha incontrato Mr. Lieberman – senza fare alcun riferimento a tale riprovevole dichiarazione.
Questa e’ l’atmosfera in cui vivono i Palestinesi di Israele. E non e’ comparabile con nessun altra al mondo. I nostri diritti e la nostra economia non possono di certo essere rappresentati dall’Autorita’ Palestinese, la cui giurisdizione e’ limitata al parziale controllo della popolazione della Cisgiordania. Il suo Presidente, Mahmoud Abbas, non puo’ negoziare per noi perche’ siamo cittadini Israeliani. Israele, comunque, preferisce non pensare a cose come queste, e fa ricorso ad ogni tipo di grette aggressioni che lo confermino, come provare a negare un passaporto nuovo a mia figlia.
Israele e’ veloce a porre tutti i suoi sforzi per delegittimizzare lo stato Ebraico. Cio’ che realmente mina il supporto internazionale di Israele non sono le sue critiche ma il trattamento abominevole che riserva ai suoi cittadini Palestinesi. E’ leggermente diverso da ogni altro Paese in cui una classe di persone sia stata discriminita e segregata per razza, religione ed etnia.
Mentre Israele (come gli Stati Uniti) afferma di esecrare ogni razzismo e violazione dei diritti umani, la leadership politica del Paese sta promulgando attivamente leggi che generano un pervasivo sistema di discriminazione. Cio’ di cui Israele ha bisogno, di converso, e’ un movimento per i diritti civili.
Rula Jebreal e’ una giornalista, analista di politica estera e autrice.
Articolo pubblicato sul “The New York Times” il 27 Ottobre, 2014
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