10Novembre2014 Gerusalemme, la morsa sempre più stretta che soffoca i palestinesi d’Israele

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copertina_gerusalemmeIl sistema israeliano, per come si struttura, causa quotidianamente alla popolazione palestinese il trauma dell’umiliazione e della discriminazione. Una diseguaglianza concreta e visibile che si tocca con mano quando si compara il lato Ovest della città con quello Est, formalmente palestinese

di MANUELA ECATE


GERUSALEMME
 – Ibrahim Al-Akkari, 48 anni, l’uomo che con la sua vettura, il 5 novembre scorso, aveva investito un gruppo di persone in attesa alla stazione del tram a Silwan, Gerusalemme Est, è stato subito dopo ucciso da militari israeliani dell’esercito israeliano. Al-Akkari aveva cinque figli, un lavoro come rifornitore di beni alimentari per alcuni negozi della città. Alcuni suoi clienti lo ricordano come una persona gentile, che non amava parlare di politica, di certo – assicurano – non si sarebbe reputata in grado di compiere un atto simile. Eppure, una mattina di qualche giorno fa si è messo alla guida del suo veicolo commerciale e, secondo quanto riportano i media locali, ha investito un gruppo di persone ferendone 13 e uccidendone una. E’ poi sceso dalla vettura brandendo un bastone di ferro tentando di colpire tutto e tutti, senza però colpire niente e nessuno se non l’asfalto. E’ stato raggiunto due colpi, uno al collo e uno alla testa, che lo hanno ucciso sul colpo.

Il confronto fra il lato Est e quello Ovest. Due settimane prima, Abdel Rahman al-Shalodi, 20 anni, residente del quartiere di Silwan, in quello stesso tratto del tram, ha urtato con la sua macchina dei passeggeri in attesa, uccidendo una bambina di 3 mesi, e ferendo 7 persone, tra cui una ragazza ecuadoriana di 22 anni, anch’essa morta alcuni giorni dopo per le ferite riportate nell’incidente. Anche Abdel è stato ucciso dalle forze di polizia israeliane. I due episodi possono forse essere utili per dare una chiave di lettura e comprendere quanto accade in una realtà estremamente eterogenea e fortemente stratificata come Gerusalemme. Il sistema israeliano, per come si struttura, causa quotidianamente alla popolazione palestinese il trauma dell’umiliazione e della discriminazione. Una diseguaglianza concreta e visibile che si tocca quando si compara il lato Ovest della città con quello Est, formalmente palestinese.

La continua confisca dello spazio.
 Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica i residenti palestinesi di Gerusalemme costituiscono più del 37 per cento della sua popolazione (301,100 su un ammontare totale di 815,300 abitanti). Considerando l’alto tasso di fertilità e nonostante la popolazione sia dunque continuamente in crescita, tra il 1967 e il 2014, Israele ha revocato il permesso di residenza a oltre 14.000 palestinesi. Ad aggiungersi a ciò è importante evidenziare che, secondo la pianificazione territoriale del governo, solo il 14% dell’area di Gerusalemme Est è assegnato alle costruzioni per residenti palestinesi. Dal 1967 lo stato di Israele ha confiscato un terzo delle terre palestinesi di Gerusalemme, mentre sono state erette decine di migliaia di case per ospitare residenti non palestinesi.

Gli ostacoli alla cittadinanza.
 Centinaia di famiglie di Gerusalemme hanno dovuto inoltre fare i conti con la Legge sulla Cittadinanza, secondo la quale i residenti in Cisgiordania, sposati a cittadini arabi di Israele, non possono ottenere lo status di residenti in Israele. Questo comporta grossi impedimenti al ricongiungimento familiare. Una legge che non trova applicazione per stranieri con provenienza diversa dalla Cisgiordania o da altri Paesi considerati nemici di Israele (Algeria, Sudan, Siria e Iran) e sposati ad ebrei israeliani, in quanto questi beneficiano degli stessi diritti di un qualunque altro cittadino israeliano.

Tagliati fuori da Gerusalemme. Non è tutto. La costruzione degli oltre 140 km del muro di separazione, i numerosi posti di blocco e le politiche sulle richieste di permessi di ingresso hanno di fatto tagliato fuori Gerusalemme Est dal resto della Cisgiordania, causando il progressivo indebolimento dello status economico e sociale dei suoi residenti. Oltre 100.000 residenti dei distretti di Ras Khamis, Ras Shahada, Dahyat a-Salam, il campo rifugiati di Shuafat, Kfar Aqeb e Samirmis sono stati tagliati fuori dal resto della città e non ricevono alcun servizio di base, malgrado si trovino nei confini municipali di Gerusalemme, in un’area annessa dallo Stato di Israele.

Povertà e discriminazioni.
 Oltre 80% dei bambini vive sotto la soglia di povertà e solo il 53 per cento tra questi frequenta scuole pubbliche senza spesso giungere al 12° anno di scolarizzazione. Gli studenti laureati presso Università palestinesi raramente ottengono il riconoscimento formale della loro qualifica in Israele, e questo rende loro difficile, quando non impossibile, l’opportunità di realizzarsi con il lavoro secondo le competenze acquisite nei corsi di studi.

Il sistema fognario che non c’è. Sotto il profilo sanitario, tra l’80 e il 90% degli adulti e il 90% dei minori che necessitano di supporto psicologico, non ricevono assistenza a causa della carenza di strutture (dei 25 Centri di salute dedicati a mamme e bambini, solo 4 si trovano nel lato Est della città). Si registra inoltre un’ampia scarsità di risorse idriche e di condotti per le fognature: 50 km in tutto. L’assenza di un appropriato sistema fognario forza i residenti all’utilizzo di fosse biologiche, che regolarmente straripano divenendo un rischio pubblico.

I bambini palestinesi arrestati. Secondo l’Organizzazione Defence for Children International i bambini palestinesi di età compresa tra i 12 e i 15 anni, detenuti dentro le carceri israeliane e aggiornato al mese di Settembre, ammonta a 235. Inoltre, secondo quanto riportato dai casi studio prodotti dall’Organizzazione i bambini sono vittime di maltrattamenti, perquisizioni, arresti domiciliari, trasferimenti illegali e tortura. A seguito del rilascio la loro esistenza risulta essere irrimediabilmente compromessa.

Il 5 Novembre del 1990 Meir Kahan, politico israeliano di estrema destra, viene assassinato a Manhattan (New York City) da un gruppo di estremisti musulmani,dopo aver pronunciato un discorso in cui aveva esortato tutti gli ebrei americani a emigrare in Israele.

Era propositore di una linea nazionalista favorevole all’ideale della Grande Israele e alla deportazione fuori d’Israele di tutti i palestinesi dei Territori occupati, ivi compresi gli arabi che vivono in Israele. Racchiuse le sue idee nel testo intitolato “They Must Go” (Loro devono andare),il “magnus opus” razzista del rabbino. Lui e’ morto ma le sue idee vivono, come dimostrano le ripetute manifestazioni di odio e di violenza a danno dei palestinesi.

I palestinesi di Gerusalemme, dal canto loro. dopo 47 anni di occupazione, isolamento fisico e conseguente annichilimento dei suoi leader e delle strutture di leadership, sono ormai politicamente orfani. La negazione, da parte di Israele, di qualsivoglia forma di leadership locale ha determinato la nascita di diverse alternative che potessero colmare il vacuum lasciato dall’assenza di autentici leader. Le “guide” nate da questa assenza non hanno spesso coordinamento o lungimiranza nelle loro scelte ma esprimono nella forma piu’ estrema il disagio e la sofferenza di un’intera comunita’ che affannosamente cerca i suoi mezzi, leciti o non leciti non spetta a noi dirlo, per sopravvivere e resistere.

“They Must Go”, tuonava il rabbino Kahan, “but they Won’t”.

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