11Dicembre2015 Raccolta fondi e dignità, binomio possibile? – @HuffPostItalia

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di Nino Santomartino su huffingtsonpost.it

Prima dell’estate, una grande ONG ha promosso un altro spot della campagna contro la malnutrizione, che ha avviato già da alcuni anni con lo stesso stile: immagini strazianti di bambini scheletrici, dal respiro ansimante e lo stomaco gonfio. Lo spot ha subito severe critiche da più parti e si è riaperto il dibattito sull’utilizzo di immagini estreme per la raccolta fondi: c’è chi sostiene la logica del “fine giustifica i mezzi” e chi, invece, si rifiuta e definisce certi metodi “pornografia del dolore”.

Un dibattito interessante perché il problema non è solo rilevante sul piano della comunicazione ma soprattutto su quello etico e pertanto va affrontato e risolto con urgenza: in nome della credibilità delle organizzazioni non profit e della loro reputazione nei confronti dei partner e dei donatori. Ora, però, occorre andare oltre la polemica, suggerire momenti di confronto e punti di convergenza e avanzare proposte che coinvolgano e corresponsabilizzino non solo gli attori sociali, ma anche il mondo della comunicazione sociale e delle istituzioni. Magari, tentando anche di superare l’iniziativa delle ONG Irlandesi che hanno promosso di recente un codice di condotta.

Esistono già molti documenti e alcuni tentativi nel passato sono stati fatti. Si tratta quindi di riprendere il cammino già fatto, fare una sintesi per punti condivisi e tentare di compiere un ulteriore passo in avanti. Nel 2008 è stato avviato un percorso che ha portato alla redazione della Carta di Trento per una migliore cooperazione. Nel 2010, nelle Linee guida per la Raccolta dei fondi, promosse dall’Agenzia per il Terzo Settore. Tra il 2009 e l’autunno del 2011 l’Agenzia del Terzo Settore promosse le Linee guida per il sostegno a distanza di minori e giovani e le Linee guida per le buone prassi e la raccolta dei fondi nei casi di emergenza umanitaria, nelle quali le organizzazioni vengono invitate al pieno rispetto del Titolo VI del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Tra il 2010 e il 2011, inoltre, l’Associazione Italiana Fundraiser (ASSIF), propose all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) alcune modifiche al Codice; pertanto, nell’autunno del 2011 cominciò un percorso di conoscenza reciproca con alcune associazioni di categoria del mondo della comunicazione (in particolare con la TP), proprio per condividere le proposte da sottoporre allo IAP e di stringere una serie di alleanze strategiche.

Osservando bene tutti questi passaggi è chiaro come vari professionisti che lavorano con il non profit e molte organizzazioni attive nei percorsi citati abbiano riconosciuto la necessità di un codice di condotta e abbiano individuato nel Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale già esistente il quadro di riferimento. Allora, ripartiamo da qui promuovendo un tavolo snello (costituito da organizzazioni non profit impegnate nel fundraising, realtà della comunicazione e dell’informazione, professionisti, consulenti e ricercatori) con il compito di definire poche ma mirate integrazioni al Codice.

È questo l’ulteriore passo in avanti da compiere rispetto alla redazione di un altro codice di condotta: integrare il Codice di autodisciplina della Comunicazione commerciale. Nel caso del Codice, infatti, i professionisti iscritti alle associazioni di categoria aderenti allo IAP sono tenuti a rispettare il Codice e le decisioni del Giurì(l’organo giudicante). Non solo. Possono essere tenuti al rispetto del Codice anche i professionisti che pur non essendo iscritti ad alcuna associazione di categoria, inseriscano all’interno del contratto con l’associazione una “speciale clausola di accettazione del Codice“.

Senza il coordinamento e la regia della soppressa Agenzia del Terzo Settore, occorre il protagonismo e l’assunzione di responsabilità da parte della società civile per promuovere in maniera convinta un tavolo di stakeholder, esperti, professionisti, associazioni e reti del Terzo Settore particolarmente interessate alla comunicazione sociale e alla raccolta fondi.

Tempi brevi, un programma rigoroso, pochi ma significativi obiettivi condivisi: il solo dibattito, la polemica, sono di ostacolo all’accountability delle organizzazioni e creano un danno alla reputazione di tutto il mondo solidale.

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