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Paesi di intervento
di Manfredi Lo Sauro
In Colombia questi ultimi mesi sono stati particolarmente critici, e nel clima di forte delusione per la mancata firma degli Accordi di Pace fissata per lo scorso 23 marzo, si sono avuti, tuttavia, una serie di segnali che fanno ben sperare per la fine negoziata del conflitto armato. Il governo colombiano e le FARC-EP hanno superato un momento di stallo delle trattative raggiungendo un’intesa sulla “blindatura” dei futuri Accordi, portandoli al livello di Accordi Internazionali, quindi costituzionali e immodificabili dai governi che verranno.
A questo punto sembra che per arrivare ad una conclusione positiva dei negoziati manchi “solo” l’accordo sulle modalità di smobilitazione della guerriglia e la piena garanzia da parte dello Stato che i guerriglieri potranno reinserisi nella vita civile e politica senza rischiare lo sterminio, come successo negli anni ottanta e novanta. Inoltre, il 30 marzo il governo colombiano e l’ELN, il secondo gruppo guerrigliero del Paese, hanno annunciato che verrà creato un nuovo tavolo negoziale per concordare la fine del confronto bellico. Questo significa che, potenzialmente, nel giro di pochi mesi le guerriglie più antiche del mondo lasceranno le armi per convogliare in movimenti politici legali, ponendo fine al conflitto civile che da oltre 60 anni scuote il Paese.
Purtroppo, questa prospettiva di convivenza civile trova la ferma opposizione della parte più oltranzista e militarista della società colombiana che mira a continuare le operazioni militari fino allo sterminio dei guerriglieri, e che trova i più convinti sostenitori nelle figure di Alejandro Ordoñez – Procuratore Generale della Repubblica e fondamentalista cristiano che persegue un ideale di società di stampo quasi medioevale – e Alvaro Uribe Vélez, exPresidente della Repubblica e principale sponsor politico del paramilitarismo, con evidenti e note connessioni mafiose. Secondo Uribe, i termini dell’accordo metterebbero sullo stesso piano i guerriglieri e le forze di sicurezza del Paese, consegnando quest’ultimo al “castro-chavismo”. Ovviamente non c’è niente di vero in tutto questo, ma se una menzogna viene ripetuta molte volte si trasforma facilmente in una verità di comodo per i latifondisti, per i mafiosi e anche per i più sprovveduti. Ciò che più preoccupa è che l’exPresidente ha dichiarato pubblicamente di voler organizzare una “resistenza civile” contro il processo di Pace. Le parole hanno un loro peso specifico, soprattutto in una società lacerata da un conflitto così lungo. Le ultime volte che si è parlato in questi termini è stato sul finire degli anni ottanta, quando furono creati i primi gruppi paramilitari, che poi avrebbero imperversato su buona parte del territorio con la complicità dello Stato massacrando una parte della società colombiana. Proprio per questo non può che allarmarci il rinnovato vigore dei gruppi neoparamilitari che negli ultimi mesi hanno intensificato le loro azioni attraverso le minacce, gli omicidi di operatori sociali e dei difensori dei diritti umani e gli “scioperi armati” che tengono in scacco intere città. Sembra di rivivere l’inizio della “guerra sporca”.
Questo clima di tensione fa leva sulla disillusione dell’opinione pubblica colombiana – soprattutto quella urbana – e sulla poca fiducia che viene riposta nella volontà di Pace delle guerriglie. Un recente sondaggio realizzato da Caracol Radio, mostra che il 54% degli intervistati vede con favore il processo di pace, ma solo il 30% si presenterà alle urne e, tra questi, il 47% voterà contro l’approvazione degli Accordi. Anche il sostegno al modo in cui il presidente Santos sta gestendo le trattative sta venendo meno: il 69% dei colombiani intervistati disapprova la gestione del Presidente. Il popolo colombiano sarà chiamato ad esprimersi sull’Accordo di Pace che il governo e le FARC-EP firmeranno ed avrà l’ultima parola sulla fine della guerra. Un atto di democrazia importantissimo e prezioso che però, nel clima di tensione e minacce che s’inasprisce man mano che ci si avvicina al voto, rappresenta un serio rischio per tutto il lavoro di conciliazione fatto finora, con il rischio di veder crollare la speranza di una Pace concreta e vicina, sotto i colpi di chi si oppone alle trattative.
La firma dell’Accordo, infatti, non significherà la Pace, ma è solo uno dei passaggi necessari per raggiungerla. La Pace deve essere costruita nei territori che negli anni hanno vissuto in prima linea il conflitto e sarà un processo lungo, faticoso e pieno di ostacoli che oligarchi, latifondisti, paramilitari e, persino, una parte delle guerriglie metteranno sul percorso.
In questo contesto di costruzione di una società pacificata, libera e realmente democratica, si inserisce il progetto “Donne organizzate per la costruzione di una società della Pace” che si basa sull’educazione alla Pace, sulla promozione dei diritti umani e sulla partecipazione cittadina, in particolare femminile, alla politica e al governo dei territori. La seconda annualità del progetto si concentrerà sulla conoscenza degli accordi firmati a La Habana e sulla promozione di una cultura popolare di Pace, in cui la richiesta di una vita senza violenza vada di pari passo alla rivendicazione dei propri diritti, alla ricerca di giustizia sociale e alla piena garanzia della partecipazione politica per tutti e tutte.
Per questo, in un momento così delicato per il Paese, ARCS e Arci rafforzeranno i propri sforzi e le proprie attività per sostenere la società civile colombiana nella lotta per arrivare ad una Colombia libera, giusta e in Pace.
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