16Settembre2016 Quattro scatti dal Libano – di Giulia Moresco

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Foto di Giulia Moresco

La città. Beirut, multiforme, si veste di strati e contraddizioni. Il vecchio fa spazio al nuovo, il nuovo fa spazio al fatiscente. Macchine d’epoca incontrano auto europee mentre palazzi moderni, disabitati, svettano su case diroccate, abbandonate a se stesse. Eppure, tra le macerie, ritrova vita il colore.

Shatila. Cavi a vista, strade, un destino soffocante, come fosse un cappio stretto alla gola: una prigione. In un campo troppo grande e troppo piccolo insieme il sentore di morte e tragedia è forte, nei tetti di lamiera, nelle macchie di ruggine, nei ricordi sottili come fila, stridenti come il ferro. Ma la vita sopravvive, nelle anime candide e pulite dei bambini, scivola nella forza d’animo, nella resilienza, nelle ore lente scandite dal muezzin e da una routine folle. Nelle cose piccole che si fanno grandi.

La Corniche. 
Due famiglie osservano il mare. Forse pensano ai propri sogni, a una fuga, a una speranza, a un nuovo inizio. Forse a niente, semplicemente al mare: piatto, infinito, stagliato contro il cielo.

Borj Hammoud, il quartiere armeno. La sera, poi, Beirut si fa viva, cordiale, caotica. Si riempie di colori, di visi, di note stonate, urlate, cantate. Non c’è più distinzione. Ovunque ti trovi, Beirut, di notte, da madre severa si fa ragazza e balla, ti stringe, si fa bella. È caotica, feroce, violenta e allegra insieme, come volesse strapparsi di dosso il sentore di guerra, come fosse una perpetua ultima notte per lei.

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