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Paesi di intervento
di Chiara Cruciati su nena-news.it
Ieri all’Onu fallito l’ennesimo tentativo di accordo tra Russia e Usa. Il governo siriano annuncia la controffensiva sulla città settentrionale, dove le strategie militari sono lo specchio degli interessi dei diversi attori della crisi
Roma, 23 settembre 2016, Nena News – “Lungo, doloroso e deludente”: così l’inviato Onu per la Siria ha definito l’incontro di ieri all’Onu dai 23 paesi dell’International Syria Support Group, organizzato per trovare una via d’uscita alla crisi. Probabilmente i siriani intrappolati in 5 anni e mezzo di guerra civile userebbero aggettivi molto peggiori: la totale incapacità di far durare l’ennesimo cessate il fuoco è il prodotto delle stesse contraddizioni degli anni passati. Non c’è un accordo su chi siano i nemici, sul destino di Assad, sul ruolo delle opposizioni.
E in Siria si riprende a combattere, anche se in realtà non si era mai davvero smesso. Le violazioni da parte delle milizie vicine o direttamente legate ad al-Nusra hanno accompagnato la settimana di fragilissima tregua, mentre le vicendevoli accuse di Russia e Stati Uniti hanno segnato gravi bombardamenti, sulle truppe siriane e su convogli di aiuti. Ieri sera la rottura definitiva: l’esercito governativo ha annunciato una controffensiva su Aleppo, subito seguita ai raid aerei.
Il governo ha riportato sul suo sito web un messaggio ai residenti, dicendogli di stare lontano dalle postazioni dei gruppi armati e invitandoli a raggiungere i checkpoint del governo per l’evacuazione. Una procedura quasi impossibile da seguire vista l’inesistenza di corridoi umanitari sicuri, mentre il direttore dell’ospedale Al-Quds conta già 45 morti nei bombardamenti, da ieri sera.
La battaglia finale, come è stata più volte definita, mostra i diversi interessi locali e internazionali che dominano in Siria. Il presidente Assad sa che perdere Aleppo lo farebbe regredire di nuovo, dopo i punti segnati con l’intervento Usa, e seppur consapevole dell’impossibilità di una vittoria certa agisce nell’obiettivo di rinchiudere le opposizioni in enclavi circondate dal governo. In altre parti della Siria lo sta facendo con accordi di evacuazione che hanno portato allo spostamento dei “ribelli” da Homs, Hama e Damasco nella provincia di Idlib, ormai da tempo roccaforte dell’ex al-Nusra.
Le opposizioni, da parte loro, non mollano convinte che mantenendo alto il livello dello scontro possono trascinare all’infinito la crisi, ampliando – quelle islamiste – il consenso delle comunità occupate sfruttando gli assedi governativi che le affamano.
A nord c’è la Turchia che prosegue spedita nella sua operazione di distruzione di Rojava, nel silenzio internazionale, sebbene abbia invaso via terra la Siria. Dal Golfo le armi e il denaro continuano ad arrivare impedendo così un abbassamento del livello dello scontro.L’obiettivo del cosiddetto asse sunnita, se non ancora del tutto archiviato, dà comunque i suoi frutti: Assad non è ancora caduto, ma la Siria è ridotta all’ombra di quello che era, da paese leader del Medio Oriente a nazione devastata dal conflitto militare e politico.
Da parte loro le due super potenze, impegnate in una nuova guerra fredda camuffata dalla ricerca del dialogo, dopo l’incontro all’Onu hanno ribadito di voler proseguire: “Abbiamo scambiato idee con la Russia e ci consulteremo domani [oggi, ndr] – ha detto il segretario di Stato Usa Kerry – Non sono meno determinato di ieri, ma più frustrato”. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha risposto chiedendo un compromesso alle opposizioni.
Anche qui a prevalere sono strategie globali: Mosca vuole tornare a mettere i piedi in Medio Oriente e sul mar Mediterraneo e si sta costruendo una rete di alleanze che da Libia e Egitto arrivano fino a Teheran. E gli Stati Uniti puntano a disgregare la Siria come entità politica e geografica per renderla più malleabile, mentre le loro industrie militari fanno affari enormi continuando a vendere miliardi di dollari di armi al Golfo, molte girate ai “ribelli” sul campo.
Interviene anche lo stesso presidente Assad che ieri, in un’intervista all’Ap, ha puntato il dito contro gli Stati Uniti, accusandoli di aver fatto fallire la tregua bombardando a Deir Ezzor i suoi uomini: nessun incidente, dice, è stato un atto intenzionale. Nena News
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