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Le difficoltà nella controffensiva su Mosul non sono solo politiche (le divisioni e gli obiettivi diversi del fronte anti-Isis) né solo tattiche. Sono le barbarie compiute a far temere il futuro della seconda città irachena e dell’intera provincia di Ninawa: quelle dello Stato Islamico che usa ogni mezzo possibile per non far cadere Mosul, ma anche quelle delle truppe governative e peshmerga sul campo.
I settarismi che hanno annientato l’unità nazionale a partire dal 2003, quando gli Stati Uniti invasero l’Iraq, sono ormai radicati, fatti di sospetto, scarsa fiducia, convinzione di una differenza atavica tra sette e etnie. L’Iraq e il popolo iracheno scompaiono, sostituiti da altre identità particolari.
Le violenze degli ultimi giorni ne danno la misura. A partire dagli attentati che non cessano contro Baghdad e la comunità sciita, chiara strategia islamista per aumentare l’odio verso i sunniti di chi sta gestendo la controffensiva: ieri almeno 7 persone sono morte e 17 rimaste ferite in tre diversi attacchi nella capitale. E con l’odio, aumenta il dissenso verso il governo centrale, ancora incapace di frenare gli attentati e garantire sicurezza.
Più lontano, intorno a Mosul, sarebbero invece le forze militari a commettere quegli abusi che annullano le speranze della comunità sunnita di una prossima e necessaria integrazione politica. La denuncia arriva da Amnesty International e Human Rights Watch: uomini con le uniformi della polizia federale avrebbero torturato e ucciso almeno sette residenti dei villaggi alla periferia della città, nelle zone di al-Qayyara e al-Shura, perché sospettati di appartenere all’Isis o di aver aiutato la compagine islamista.
Stavolta, dunque, nel mirino non ci sono le milizie sciite legate all’Iran, a cui in passato sono stati attribuiti abusi gravi contro le comunità liberate a Tikrit e Ramadi. Se polizia e governo smentiscono i rapporti, a monte sta una più generale paura di persone, civili, che invece che essere viste come vittime vengono identificati come nemiche. Secondo Amnesty, gli uomini sono stati portati in un’area deserta e picchiati “con i calci del fucili, presi a calci e a pugni, le barbe strappate o date alle fiamme”. E uccisi.
Al di là delle sette presunte uccisioni, ad operare è un sistema di controllo capillare che viene percepito come violazione: nelle comunità liberate esercito iracheno e peshmerga dividono gli uomini dalle donne, perquisiscono le case e le persone, arrestano i sospetti e li fanno sparire per giorni. E lo stesso avviene con gli sfollati in fuga, una volta arrivati in luoghi considerati sicuri. Chi arriva a piedi o attraversando il Tigri con imbarcazioni di fortuna sventola bandiere bianche e si spoglia a distanza per far vedere ai soldati di non avere addosso ordigni o cinture esplosive.
La liberazione diventa così un nuovo incubo, humus per altre divisioni e paure su cui giocano quelli che puntano ad una divisione federale dell’Iraq in base a etnia e religione.Ovvero gli Stati Uniti che da anni parlano della necessità di una separazione politica e la Turchia che con le truppe sul campo e le insistenze a prendere parte alla battaglia vuole creare una zona cuscinetto sunnita a nord dove esprimere tutta la propria influenza.
Dall’altra parte è l’Isis a compiere barbarie terribili, violenze terrificanti che sono lo specchio di una difesa ormai giunta all’ultimo stadio: decine di persone, almeno 75 negli ultimi 10 giorni, sono state giustiziate a Mosul, accusate di collaborare con Bagdad, i loro corpi esposti in piazza o lasciati a marcire per le strade. Allo stesso tempo, lo Stato Islamico rafforza le difese: testimoni parlano di autobomba posizionate tra le strade e i vicoli, nei quartieri residenziali e tra le case; di barili di petrolio lasciati agli incroci e a cui dare fuoco all’arrivo delle truppe governative; di mine disseminate lungo il perimetro della città ma anche al suo interno.
Ma la paura più radicata, tra le famiglie ancora a Mosul, è per i figli. Per i bambini e gli adolescenti che hanno trascorso gli ultimi due anni e mezzo in un clima di terrore e propaganda, nelle scuole che insegnano solo la malata e distorta interpretazione islamista della religione: padri e madri che riescono a parlare con l’esterno raccontano il timore che l’indottrinamento a cui i figli sono stati sottoposti li porterà a subire violenze da parte dei liberatori. Nena News
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