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Paesi di intervento
di Francesco Martone
Miller Dussan è un professore universitario colombiano presidente dell’ONG Asoquimbo. Assieme a Elsa Ardila, ex-presidente di Asoquimbo è al centro di una campagna di intimidazione e criminalizzazione a causa del suo impegno per la protezione del Rio Magdalena ed il rispetto dei diritti delle comunità locali.
Su quel fiume, nel dipartimento di Huila nella parte meridionale del paese sta infatti operando la ENEL-EMGESA, con un cantiere per la costruzione della megadiga di El Quimbo. Oggi Miller rischia 12 anni di detenzione qualora venisse condannato in seguito all’accusa formulata dall’impresa, di aver bloccato strade pubbliche e quindi causato una turbativa all’ordine pubblico.
A questi 12 potrebbero aggiungersi altri 8 anni per l’accusa di aver istigato l’occupazione di terre private. Nei prossimi giorni, precisamente il 6 febbraio la corte municipale di Garzon, a Huila dovrà decidere se accogliere o meno le istanze di archiviazione avanzate dagli avvocati della difesa.
Il caso di Miller Dussan e Elsa Ardila è uno dei tanti casi di criminalizzazione ed attacco ad attivisti dei diritti umani. Solo in Colombia dal gennaio al novembre dello scorso anno sono stati uccisi 57 tra attivisti e attiviste. A gennaio di quest’anno sono stati registrati altri omicidi, in un paese tra quelli con il più alto numero di uccisioni di attivisti nel mondo.
Questo caso ci tocca da vicino perché la diga di El Quimbo, è costruita da un’impresa collegata all’ENEL, è un progetto inizialmente abbandonato nel 1997 per gli alti costi sociali ed ambientali, però poi ripreso 10 anni dopo con una decisione del governo di Alvaro Uribe. Da allora almeno 1500 persone sono state cacciate via dalle loro terre, e migliaia di ettari di terra coltivabile distrutti.
Tre anni di resistenza popolare hanno portato all’istituzione di un tavolo di lavoro che dovrà rivedere le leggi regionali che disciplinano il settore minerario. L’energia generata servirà infatti per alimentare il settore minerario, dove operano imprese multinazionali quali la Drummond e la Anglogols Ashanti. Inoltre solleva una serie di interrogativi sulla coerenza degli impegni presi dall’impresa sul rispetto dei diritti delle comunità locali, e la portata dei regimi volontari di responsabilità sociale d’impresa.
Va ricordato al riguardo che l’Italia di recente s è dotata di un Piano di lavoro nazionale su imprese e diritti umani, che contiene anche dei riferimenti ai difensori dei diritti umani. Resteranno lettera morta?
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