17Gennaio2018 ARCS in Libano: un nuovo impegno per le carceri

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di Micol Briziobello

In Libano, è stato di recente approvato il progetto “DROIT: Diritti, Reinserimento sociale, Orientamento professionale e Tutela per giovani adulti, donne e disabili nelle carceri libanesi”, con l’obiettivo di migliorare il sistema penitenziario e giudiziario libanese.

L’iniziativa prevede il potenziamento dei servizi di assistenza di base (supporto psicologico e legale), formazione professionale e reinserimento sociale di giovani adulti, donne e disabili sottoposti a misure restrittive della libertà, incluso il sostegno alle loro famiglie. Inoltre, il progetto intende contribuire al miglioramento di infrastrutture per disabili, servizi per favorire la riconciliazione familiare (counselling sul processo di incarcerazione, organizzazione di spazi per le visite familiari, etc…) e la preparazione al fine pena dei detenuti.

Nonostante gli appelli della società civile e della comunità internazionale, infatti, le condizioni di detenzione nelle carceri libanesi restano lontane dagli standard internazionali. Secondo il Word Prison Brief (2016), la popolazione carceraria conta circa 6.502 individui (solo Roumieh, la più grande prigione maschile libanese ospita circa 3.500 detenuti) di cui 286 donne (4.4%) e 110 minori (2%).

Circa il 36% dei detenuti è straniero e, ad oggi, la maggioranza è di origine siriana. Secondo il Ministero della Giustizia (MoJ), con la crisi siriana, infatti, la popolazione carceraria sarebbe aumentata del 30-35%. Lentezza e malfunzionamento del sistema giudiziario, con arresti arbitrari, errori e tempi di attesa di giudizio lunghi, limitata assistenza legale e di supporto economico e sociale ai detenuti (disabili, minori e giovani adulti esposti a abusi (HRW 2015) e alle loro famiglie e assenza d’infrastrutture e servizi per i disabili rendono le prigioni libanesi luoghi di depressione e radicalizzazione, invece che di recupero e rieducazione.

Si aggiunga, poi, la mancanza di strutture in grado di accogliere coloro che, uscendo dal carcere, non hanno né una casa né una famiglia da cui ripartire. Secondo LCHR, nel 2015, erano 286 le prigioniere in Libano, più della metà delle quali sarebbe costantemente sottoposta ad abusi. A Barbar el Khazen (BEK), prigione femminile di Beirut-Verdun, il 50% delle detenute è costituito da lavoratrici domestiche straniere, elemento che la rende più vulnerabile delle altre, che non hanno contatti con il mondo esterno e con le famiglie, hanno disturbi psico-fisici legati agli abusi subìti in Libano (solo il 5% ha accesso a sostegno legale e psicosociale), vivono in celle di 15m² che ospitano fino a 8 detenute, non hanno una cucina adeguata e partecipano ad un 1 solo corso di formazione all’anno.

Il progetto, della durata di tre anni, finanziato dall’AICS- Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, pertanto, ha come obiettivo il potenziamento dei limitati servizi offerti nelle carceri libanesi al fine di migliorare le condizioni di detenzione e la riabilitazione delle persone in conflitto con la legge, riducendo la possibilità di recidiva e favorendo la reintegrazione sociale delle figure più a rischio. In tal senso, si rende promotore di un approccio nuovo per il sistema penitenziario libanese che mira a trasformare la funzione punitiva delle prigioni in una rieducativa, fondata sugli obiettivi di riabilitazione e reintegrazione del detenuto. Inoltre, la proposta, promossa da ARCS, include un programma di formazione rivolto alle due ONG locali partners, quali AJEM e Mouvement Social, elaborato da una rete di operatori italiani di eccellenza, quali Associazione Antigone e il Garante della Regione Toscana, Arci Toscana, e Non C’è Pace Senza Giustizia, nell’offerta, nel monitoraggio e nello sviluppo di servizi penitenziari così come una formazione specifica nella difesa dei diritti umani, volte a potenziare la capacità di pianificazione degli interventi diretti e indiretti nelle carceri.

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