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Paesi di intervento
di Cecilia Trevisan
Da circa una settimana in Giordania si registra un rapido incremento dei casi di contagio da Covid19: sono passati da uno registrato il 2 marzo (un giordano rientrato da un viaggio in Italia) a 5 sabato scorso fino ai 69 casi di oggi.
Per limitare l’espandersi del contagio il governo giordano ha attuato in questo periodo misure sempre più restrittive: prima ha bloccato i voli provenienti da Italia, Cina, Corea del Sud e Iran (dal 26 febbraio), mentre dal 17 marzo la Giordania ha bloccato tutti i voli aerei da e per il Pease oltre che tutte le entrate via terra e via mare.
Prendendo spunto dalle misure attuate anche in Italia, vista anche la situazione nei Paesi limitrofi (Libano e Iraq), il Paese ha iniziato prima di tutto ad informare la popolazione sulle norme igieniche da seguire in questo periodo grazie anche al supporto dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità presente in loco.
Due sono i fattori importanti da tenete in considerazione in Giordania: il contesto interno – non dimentichiamoci che la Giordania ospita circa 1.3 milioni di rifugiati siriani, di cui circa 100 mila risiedono in due campi profughi, oltre a rifugiati di altre nazioni come iracheni, eriteri, somali, sudanesi e yemeniti la cui possibilità di accesso a servizi sanitari è molto scarsa o in moli casi inesistente; la situazione sanitaria locale che si avvale soprattutto di un sistema privato che molto spesso non è alla portata di tutti i cittadini.
Con il rapido aumento del numero di casi in diverse parti del Paese, giorno dopo giorno sono state emanate diverse direttive: la chiusura delle scuole ( dagli asili nido alle università), la sospensione di tutti gli eventi pubblici e privati (ad esempio i matrimoni), la sospensione delle funzioni religiose sia nelle moschee che nelle chiese, la chiusura di bar ristoranti e siti turistici e la chiusura di tutti i luoghi di aggregazione.
E dalle ore 8 di mercoledì 18 marzo, fino a mercoledì 1 Aprile, è entrata in vigore la cosiddetta National Defense Law: il Re ha assegnato all’esecutivo poteri speciali per la gestione del COVID-19, dichiarando lo stato di emergenza a nazionale, permettendo alle forze dell’ordine e alle forze armate di svolgere controlli straordinari per contenere l’emergenza. Da oggi anche tutti gli accessi alle città sono stati bloccati.
Sulla base di queste misure, le organizzazioni sia nazionali che internazionali hanno dovuto bloccare le attività nel Paese, con un grande impatto sia per chi lavora che per tutte le persone coinvolte nei differenti progetti, in particolare quelle che vivono in aree più svantaggiate e che potrebbero essere più a rischio in situazioni di difficoltà.
Nonostante l’emergenza, tutti gli organismi si sono mossi per creare task-force e gruppi di coordinamento per aggiornare gli attori presenti nel Pease e per scambiarsi informazioni e buone pratiche. È soprattutto in queste situazioni che il lavoro delle organizzazioni deve essere compatto e coordinato in modo da dare una risposta univoca e mettere sul campo il meglio che ognuno di noi può dare.
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