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Paesi di intervento
di Roberto Salustri
A fine febbraio, nei campi per rifugiati saharawi in Algeria, ci sono state molte manifestazioni. Si avvicinava il 27 febbraio, giorno della proclamazione della Rasd, Republica Araba Saharawi Democratica. Di solito sono previste molte feste e celebrazioni: la Sahara Marathon, il forum giovanile internazionale e la Festa della Repubblica. Abbiamo, da subito, dato il nostro parere alle istituzioni Saharawi per far fronte ad un eventuale focolaio di epidemia, i nostri stessi cooperanti sono stati molto cauti e hanno utilizzato tutte le precauzioni sanitarie per impedire il contagio.
La nostra missione come ARCS, di febbraio-marzo, prevedeva il supporto tecnico per la realizzazione della rete di orti solari familiari, per produrre alimenti freschi per le famiglie del campo per rifugiati, un modo per far fronte alla mancanza di cibo. Secondo obiettivo era quello di supportare le istituzioni che si occupano dello sminamento e della sensibilizzazione al rischio delle mine e degli ordigni esplosivi, all’interno della campagna “Un arbol por cada mina” ideata dalla RESEDA onlus.
Mentre cercavamo di garantire il raggiungimento di tutti gli obiettivi della missione eravamo in continuo contatto con le nostre famiglie e le associazioni di riferimento, per capire la situazione in Italia che, dalla nostra partenza, era cambiata radicalmente. La nostra esperienza di epidemie (colera, malaria, ebola, dengue) non ci faceva presagire nulla di buono. Inoltre eravamo continuamente in contatto con il “protocolo“ centrale dei campi per rifugiati e le linee aeree algerine, per capire se e come ci fosse la necessità di una evacuazione rapida della cooperazione dai campi.
Non sempre la comunicazione in quest’area è possibile, ci sono continue mancanze di energia elettrica e zone senza copertura radio. Inoltre in questa missione era previsto un viaggio nei territori liberati del Sahara occidentale, area completamente isolata. Lo scopo era di fare dei sopralluoghi nelle zone dove realizzare gli orti e per mappare alcune aree minate vicino al muro della vergogna. Un muro di oltre 2700 km circondato da più di 7 milioni di mine e ordigni esplosivi, più del 60% prodotto in Italia.
Al ritorno dalla missione nei territori liberati la situazione era ulteriormente peggiorata: si rendeva necessario un piano di evacuazione dei cooperanti, sia per prevenire l’interruzione del trasporto aereo, sia per non bloccare del tutto gli aiuti umanitari nei campi; sono state organizzate immediate riunioni con le istituzioni saharawi e piani di mantenimento dei progetti umanitari, anche in assenza dei cooperanti italiani e spagnoli. Abbiamo lavorato giorno e notte per concludere gli obiettivi dei vari progetti, ma con gli zaini pronti ad ogni evenienza. L’evacuazione sarà poi garantita dall’esercito Algerino e dall’Agenzia saharawi per la sicurezza. Air Algeri ci assicurerà voli sicuri fino ad evacuazione avvenuta.
Non è stato facile lasciare i nostri amici saharawi, ma non potevamo fare altrimenti: la chiusura dei campi per rifugiati era l’unico modo per scongiurare una epidemia, che può diventare letale in questi luoghi. Al ritorno abbiamo scelto una quarantena volontaria, per evitare un possibile contagio. Ora questa quarantena è diventata, per effetto dei vari decreti, obbligatoria. Numerosi sono stati gli auguri e gli incoraggiamenti da parte del popolo saharawi verso di noi e il popolo italiano. Tutti i giorni riceviamo messaggi e video di incoraggiamento.
Pur stando a casa continuiamo ad occuparci a distanza dei progetti, con un contatto continuo con i nostri partner locali, e allo stesso tempo lavoriamo per aiutare i nostri connazionali, coordinando e trovando gli aiuti, sia per territori di residenza sia per i focolai che ora sono più critici. E non vediamo l’ora di tornare ad essere operativi al 100%, come d’altronde abbiamo sempre fatto, noncuranti del pericolo, consapevoli e concentrati.
Per citare i nostri amici della Brigada medica cubana, appena arrivata in Italia per aiutarci: “una persona deve stare dove è più utile” (José Martí).
Per ora non si registrano casi nei campi per rifugiati saharawi.
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