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Paesi di intervento
Il caffé creato da Yosra é chiuso, come chiusi sono tutti i locali pubblici sulla Avenue Bourguiba di Tataouine. I clienti, e le entrate, non ci sono, ma l’affitto da pagare di 1.200 dinari al mese per il momento resta. Per questa piccola impresa, creata con un fondo messo insieme da ARCS con l’appoggio della Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e altri donatori, le prossime settimane rischiano di essere una brutta batosta, se non interverranno anche qui aiuti pubblici in favore di tutti coloro che oggi sono costretti a casa senza reddito.
Scambio qualche messaggio anche con Esma, che ha da poco inaugurato, grazie allo stesso fondo, la sua boutique di affitto e vendita di abiti tradizionali. “Si’, ho chiuso – mi dice – per il bene di tutti noi”. Anche lei dovrà capire come ammortizzare i costi di affitto, adesso.
I Gruppi di Sviluppo Agricolo delle donne dei villaggi, creati dal progetto di ARCS, sono fermi. Ferma è la piccola impresa di tessitura di Arousia. Lavorano, con limitazioni di movimento, le piccole imprese di allevamento di Walid, Safé e Ayman: si trovano in campagna e forniscono generi di prima necessità.
Gli effetti del lockdown totale decretato dal governo tunisino a partire da domenica 22 marzo, si fanno sentire cosi’ anche sulle attività create dal progetto “TER-RE”. La maison d’hôtes di Selma (sostenuta da ARCS e da un progetto dell’UNOPS), che doveva inaugurarsi a breve, in tempo per la stagione turistica, per adesso non aprirà. E la stagione turistica, per Selma come per tutti gli operatori del settore, resta un miraggio lontano. Anche quando il blocco verrà tolto, non é chiaro se la gente avrà la voglia e il coraggio di azzardare una vacanza in Tunisia. Per adesso, non solo i collegamenti internazionali, ma anche quelli tra le diverse regioni sono bloccati e tutti gli spostamenti sottoposti a controlli.
Le polemiche sulle possibili conseguenze del blocco economico riecheggiano in Tunisia quelle che si sentono in Italia e in altri paesi. Chiudere il più possibile e dare sostegni alle famiglie, dicono i sindacati. Non bloccare l’economia, dice l’UTICA, principale organizzazione padronale. Il governo per adesso ha scelto anche qui una via di mezzo. Diverse aree industriali sono chiuse. Sussidi ancora da definire meglio sono previsti per le famiglie che stanno perdendo i propri redditi, anche se è chiaro che il paese, già fortemente impegnato con le istituzioni finanziarie internazionali, non avrebbe le risorse per far fronte a tutto cio’ che serve di fronte a questa situazione. Già si parla di contrarre un nuovo prestito internazionale, quando forse la sola soluzione realistica dovrebbe essere quella di cogliere l’occasione per ottenere la cancellazione dei debiti e soprattutto dei pesanti condizionamenti di austerità che la gestione dei debiti continua imporre a questo come ad altri paesi “in via di sviluppo”.
Intanto, il Governo Italiano, per il quale la Tunisia é paese prioritario nella cooperazione internazionale, ha annunciato un credito di aiuto di 50 milioni di Euro che saranno messi a disposizione della Banca Centrale tunisina dalla Cassa Depositi e Prestiti, per far fronte all’emergenza.
La Tunisia deriva le proprie risorse da quattro fonti principali. La prima sono le rimesse degli emigrati, che probabilmente subiranno una flessione in funzione della contrazione dell’economia nei paesi di emigrazione e della possibilità degli emigrati di accedere o meno ai sussidi offerti da quei paesi. La seconda sono i ricavi del turismo, ed è chiaro che quest’anno saranno estremamente limitati, proprio quando il paese cominciava finalmente a uscire dalla lista delle destinazioni considerate “rischiose” a causa del terrorismo. La terza sono i ricavi delle esportazioni, destinati anch’essi a ridursi drasticamente, vista le riduzione dei consumi nei paesi di destinazione, e prima di tutto in Europa. Infine gli investimenti esteri, già in crisi da tempo, che scenderanno ancora e che comunque di solito, anche quando ci sono, di solito generano un flusso contrario di esportazione di dividendi e profitti. Un possibile risparmio, lo Stato tunisino l’avrà invece dalla contrazione del prezzo mondiale del petrolio che la crisi sta finora determinando : la Tunisia é importatrice netta di materie energetiche, nonostante i suoi pozzi petroliferi e il gasdotto algerino che l’attraversa.
Di fronte a questa crisi, se l’Europa non ha potuto fare a meno di sospendere le proprie regole di austerità, analoga, se non maggiore, flessibilità dovrebbe applicarsi per i Paesi a economia debole.
Il risvolto di questo blocco totale è ovviamente la proverbiale “indisciplina” di molti tunisini. Giovani che pensano bene di prendere in giro i divieti, anziani che non intendono rinunciare alle proprie abitudini. “Da noi in famiglia – mi dice Selma – il problema è mio padre, che pur essendo anziano e malato non accetta di restare in casa”. Per imporre il blocco, si é fatto scendere l’esercito in strada, quello stesso esercito che, schieratosi contro la polizia di Ben Ali’ nel 2011 della rivoluzione e che ha respinto con successo un attacco militare islamista alla frontiera libica nel 2016, gode ancora di un certo prestigio tra la popolazione. L’esercito e le altre forze dell’ordine sono chiamate anche a vigilare contro le possibili speculazioni sui prezzi e sulle scorte di generi di prima necessità.
I controlli, in questi primi giorni sono severi. Le patenti di coloro che circolano senza motivo saranno ritirate. Ma questo non impedisce anche qui il proliferare sulle reti sociali della caccia a quelli che non stanno in casa, visti come potenziali untori.
I casi confermati a Tataouine, città di circa 90.000 abitanti, sono ad oggi sei. Quasi tutti, come nel resto del Paese, importati direttamente o indirettamente con il rientro di emigrati dalla Francia e dall’Italia, con l’aggiunta di qualche straniero in arrivo. In tutta la Tunisia al 23 marzo, i casi sono 144, i morti tre e le persone in quarantena poco più di diecimila. Ma tutti capiscono che i dati reali sono più alti, perché non c’é un sistema di controlli a tappetto (il governo prevede di effettuare 10.000 tamponi nei prossimi giorni) e ogni caso conclamato ne nasconde degli altri. E adesso si teme l’ondata della “propagazione orizzontale”, probabilmente già in atto.
Anche le cifre ufficiali sui posti disponibili in rianimazione sono poco precise, ma dovrebbero attestarsi sui 330. Comunque troppo pochi per un Paese di oltre 11 milioni di abitanti. La sanità privata è ben presente nelle grandi città, con strutture di buon livello, normalmente accessibili solo a una ristretta élite e agli stranieri che vengono a curarsi qui per godere di costi comunque più bassi che in Europa, ma non é ancora chiaro se intenderà giocare un ruolo in questa crisi, fuori dalle logiche del profitto. Nel quartiere della Soukra, a Tunisi, una clinica privata è stata chiusa dopo aver scoperto che un paziente straniero, ricoverato per altre patologie, era già contaminato. Il personale sanitario in genere invece non manca, tanto che, secondo la stampa locale, il Paese vuole offrirne una squadra anche all’Italia.
Il numero attuale di casi, rispetto ad altri Paesi e alle vicina Italia, é ancora basso, ma il governo, dopo un’incertezza iniziale, ha deciso di agire sulla prevenzione. Quanto questa sarà efficace, è difficile dirlo. Certo é che il sistema sanitario, già carente da molti punti di vista, non reggerebbe l’impatto di un numero massiccio di ricoveri.
A Ben Arous come in altri centri del paese, l’Union Nationale de la Femme Tunisienne, partner di ARCS in un progetto di creazione d’impresa agroecologica per i giovani il cui avvio concreto è per adesso bloccato dagli eventi, ha organizzato al Centro di Formazione di Chebedda, sede del progetto, una giornata di distribuzione di borse con disinfettanti e prodotti per l’igiene alle famiglie indigenti, prima di sospendere del tutto le attività. Come é stato già detto altrove, al momento, in mancanza di farmaci e vaccini di provata efficacia, anche in Tunisia la migliore medicina é la solidarietà.
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