24Novembre2020 Padre Najib Baklini: nelle carceri libanesi una vera e propria catastrofe umanitaria

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di Giuseppe Cammarata

Padre Najib Baklini, presidente di AJEM, partner di ARCS nell’ambito del progetto DROIT, ha rilasciato ieri un’intervista telefonica alla radio Voice of Lebanon (Sawt al Lubnan) sulla situazione delle carceri libanesi.

La tragedia dei detenuti si aggrava giorno dopo giorno. Alcuni di loro sono vittime della società, delle condizioni sociali, di vita, legali e di altro tipo, e forse il loro destino è affrontare la sfortuna e la morte”.

Dopo la diffusione della notizia che alcuni detenuti sono fuggiti dalla stazione di polizia di Baabda sabato mattina, padre Najib ha ricordato “le richieste fatte alle autorità penitenziarie libanesi ed i suggerimenti più volte dati per migliorare le condizioni delle carceri e dei detenuti, per sviluppare nuove modalità di indagine, per aggiornare le procedure processuali, per prevedere la possibilità di sconti di pena e di indulti per detenuti dalla pena residua irrisoria e della necessità di prevedere percorsi riabilitativi interni ed esterni al carcere”.

Padre Najib ha sottolineato ancora una volta che le ripercussioni derivanti dalla lunghezza dei processi e dall’enorme sovraffollamento delle carceri libanesi stanno provocando una vera e propria catastrofe umanitaria e sociale sia per i detenuti che per gli agenti di custodia ed ha chiesto a gran voce che vengano prese al più presto misure coraggiose, così come molte volte richiesto dalla società civile, ed in particolare da AJEM, che opera da più di venticinque anni nelle prigioni libanesi.

Durante l’intervista parte Najib ha affermato: “Non ripeteremo le nostre proposte per ridurre il sovraffollamento delle carceri libanesi, soprattutto in questo momento di pandemia in atto, perché le autorità interessate le conoscono bene. Purtroppo quel che manca è la volontà di prendere le giuste decisioni nell’interesse della società. Non è ancora giunto il momento di salvare i detenuti?“.

Padre Najib ha ricordato ancora alle autorità pubbliche, in particolare al parlamento, al governo dimissionario, ai ministeri ed ai dipartimenti competenti, come pure alla magistratura, le conseguenze che il loro mancato interessamento ha sui detenuti e sulle loro famiglie, auspicando un aggiornamento delle procedure processuali, accelerando i procedimenti penali, migliorando le infrastrutture carcerarie e chiedendo il coinvolgimento del Ministero della Giustizia nella gestione delle carceri in un modo che si possano realizzare percorsi riabilitativi dei detenuti e non soltanto azioni punitive.

Ha concluso il suo intervento chiedendo di alleviare le sofferenze dei detenuti e di evitare una catastrofe umanitaria: “se nel Paese molte persone sono ormai privi del minimo indispensabile alla sopravvivenza quotidiana, possiamo ben immaginare quali possano essere le condizioni di chi vive dietro le sbarre“.

ARCS in Libano collabora con AJEM e Mouvement Social nella gestione del progetto DROIT, cofinanziato dall’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e volto a migliorare le condizioni di vita dei detenuti dei penitenziari di Roumieh e di Barber el-Khazen.

Il progetto prevede azioni di sostegno legale e psicosociale, formazione professionale e supporto al reinserimento sociale per gli ex-detenuti. Le misure di sicurezza sanitaria dovute all’inasprirsi della pandemia da COVID-19 ed il lockdown in cui si trova adesso il Libano rendono più difficoltosa la realizzazione delle attività, che tuttavia continuano a svolgersi anche se in modalità da remoto o attraverso il vetro nel parlatorio del carcere. Al momento ARCS è l’unica organizzazione che, attraverso il partner AJEM, riesce ad entrare nel carcere di Roumieh.

Per sostenere queste ed altre attività che ARCS ha in corso in Libano, ARCS ed ARCI hanno lanciato la campagna di raccolta fondi Beirut Calling.

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