20Gennaio2021 Tra Covid-19 e crisi: l’Africa resiliente alle soglie del 2021

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di Giovanni Baccani, volontario ARCS nell’ambito del Servizio Civile Universale

Il 2020 si è concluso, e lascia inevitabilmente come ricordo una parola su tutte: pandemia. Il suo prefisso pan- sancisce che la diffusione della malattia in questione, in questo caso il Covid-19, sia un evento di caratura mondiale. Nel giro di pochi mesi infatti, tutti i Paesi del mondo hanno riscontrato dei casi all’interno del territorio, sebbene alcuni, come la Corea del Nord continuino a sostenere che non ci siano mai stati casi alle loro latitudini: le immagini però trasmesse alcuni mesi fa che ritraevano folle con tanti muniti di mascherina facciale, fa pensare che davvero nessun Paese si sia salvato. Suddividendo il Paese in regioni, province, città e località tutte le comunità del mondo hanno dovuto fare i conti con il diffondersi del virus. Che sia nella più impervia zona della Foresta Amazzonica o nei più remoti ghiacciai dell’Antartide, il Covid-19 è riuscito a manifestarvisi, segnale dell’interconnessione dell’essere umano su scala planetaria.

E di conseguenza, l’Africa, casa di più di un un miliardo e 200 milioni di abitanti, è stata afflitta dalle conseguenze sanitarie in primis, ed economiche, con riflessi nella vita politica e sociale dei Paesi in cui è suddivisa, così come nelle comunità che vi ci abitano. Il virus dunque, come nel resto del mondo, ha fatto da protagonista.

Tuttavia, non è stato l’unico avvenimento nel continente, che, come del resto tutti gli altri, ha giorno dopo giorno continuato a vivere, seppur tra incertezze e limitazioni; semmai, il virus è stato un’aggravante in quelle che sono delle precarietà che erano già in essere , come ad esempio epidemie in corso dovute ad altri patogeni, crisi ambientali, conflitti.

E’ difficile descrivere lo stesso fenomeno per così tanti paesi (55) e così tante persone (più di 1.200.000.000), poiché un’infinita serie di particolarità ne attanagliano la generalizzazione; tuttavia il fatto forse che il virus abbia avuto una fase di ritirata in Africa (la seconda ondata un po’ ovunque sta avendo le prime avvisaglie in questo mese di gennaio 2021) o un approccio diverso della popolazione nei suoi confronti, forse ci dice qualcosa a proposito della particolarità del continente.

La prima ondata nel continente si è registrata da aprile a luglio del 2020, per poi subire una frenata rispetto ad altri continenti dove invece ha ripreso ad accelerare successivamente. Ci sono tante ipotesi sul perché si sia verificato uno scenario del genere, a partire dal numero di test effettuati nettamente inferiori rispetto ai Paesi europei, che di conseguenza portano ad un numero inferiore di positività riscontrate. Il tasso di mortalità più basso secondo alcuni è legato ad alcune caratteristiche della popolazione, tra le quali quella di avere il 40% delle persone con meno di 30 anni, oppure una densità abitativa bassa se presa in considerazione l’enorme porzione di territorio dove è diffusa. Per altri, laddove invece la densità popolativa è alta, ossia nelle grandi città che al giorno d’oggi in molti casi si possono definire come megalopoli, questo è esso stesso un fattore che può aver protetto i locali, essendo magari stati a contatto con dei virus simili al Sars-Cov-2 ed aver sviluppato una qualche forma di immunità a questo virus. C’è poi chi sostiene che se effettivamente livelli alti di vitamina D riescano a ridurre il rischio di infettarsi, allora specialmente le popolazioni del deserto sono meno a rischio di contagio. Tutte queste sono delle ipotesi che al momento restano tali, non essendo stati compiuti dettagliati studi che le possano confermare. D’altronde, ovunque la priorità nell’utilizzo delle risorse è quella di contrastare la diffusione del virus, sia con le misure protettive che con i vaccini. Storicamente però, il diffondersi di virus epidemici è stata una costante per i popoli africani. E in un certo senso, clinicamente potrebbe aver avuto un impatto minore su tanti, forse per lo sviluppo di condizioni ambientali che hanno reso possibile un’immunità maggiore rispetto agli abitanti di altri continenti. Dall’altro lato, forse una componente più psicologica ha portato ad adottare un approccio diverso alla malattia: l’Africa è stata ed è falcidiata da infezioni che hanno un tasso ben più alto di mortalità e sintomi più dolorosi. Rispetto ad essi, il Covid-19 appare come un pericolo minore, che non desta preoccupazioni ai più, e non impedisce a tanti di vivere la vita più o meno come prima dello scoppio della pandemia. C’è poi anche una considerazione più profonda, che ne scaturisce, ossia quella di una concezione diversa anche del valore vita e di quello della morte, che il più delle volte è dettata da una spiritualità legata all’interiorità della persona e alla propria appartenenza identitaria dentro alla comunità. In molti nel continente africano non si identificano dentro ai termini dell’identità nazionale o regionale, ma piuttosto nel credo religioso o spirituale, oppure a quello della propria comunità, non necessariamente legata ad un territorio definito, o a quello della propria etnia, talvolta guidate da realtà in contrasto tra di esse. Tutto ciò dunque porta a percepire una reazione differente alla pandemia del continente africano rispetto agli altri: vista dalla prospettiva europea si fatica talvolta a comprendere fino in fondo. Una chiave di lettura che comunque può essere utile è il carattere resiliente di tanti africani, che quotidianamente sono soggetti a gestire nella propria esistenza crisi di tipo sociale, ambientale, politico spesso e volentieri interconnesse tra di loro. Questo costante perdurare di una presenza di drammaticità da debolezza si trasforma in una forza, in una consapevolezza che spinge sempre e comunque a guardare avanti.

L’Africa che inizia il 2021 infatti, oltre a dover gestire la pandemia in essere, si ritrova pressoché ovunque in situazione di emergenza, guerra, criticità. Partendo dal basso, uno dei più grandi Paesi in termini economici e anche di popolazione, ossia il Sud Africa, è stato uno dei Paesi maggiormente colpiti dal Covid-19, al punto tale che è stata identificata una variante del virus sviluppatasi in loco. Oltre a dover gestire la crisi sanitaria in un contesto dove la tensione razziale rimane comunque latente, la pressione migratoria dai Paesi a nord rimane cruciale in un momento del genere dove le file chilometriche di migranti alle frontiere pone rischi legati di sicurezza e di salute insieme. Questo per ricordare che le migrazioni non avvengono esclusivamente in direzione dell’Europa: se rapportata alla totalità dei flussi del continente, rimane una piccola frazione; la maggior parte dei movimenti sono interni e spesso mal visti agli occhi della popolazione locale.

Proseguendo in direzione nord, il paese più esteso dell’Africa centrale, ossia la Repubblica Democratica del Congo, soffre della presenza di gruppi armati diffusi su tutti il territorio, oltre che di focolai di Ebola ancora presenti. Confinante a nord, la Repubblica Centrafricana presenta molte criticità, tra le quali l’instabilità politica a seguito di elezioni fortemente contestate, la presenza di milizie armate in conflitto di loro, così come quella di forze militari straniere, quelle russe, a difesa di obiettivi economici, quali le estrazioni minerarie.

Da est a ovest a nord un flagello comune determina uno stato di caos e paura permanente: il terrorismo. Il più delle volte viene definito com quello di matrice islamica, ma è giusto precisare che spesso è usato a fini propagandistici; il reale obiettivo di tante fazioni è l’accrescimento del proprio potere sul territorio più che l’aumento dei proseliti. Pur essendo spesso definiti come parte di un unico movimento che intende creare uno stato fondamentalista islamico dentro all’Africa, sono diversi gruppi di origine differente concentrati per lo più nella ricerca del dominio di determinate zone strategiche, e non costituiscono un movimento unitario, visto che capita che siano in conflitto tra di loro per raggiungere i propri obiettivi. Dal Nord del Mozambico, confinante con la Tanzania, passando per il Kenya fino ad arrivare ai confini con la Somalia, il pericolo della formazione di una ‘striscia del terrore’ è tangibile, considerato che i gruppi armati spesso si muovono in territori impervi, dove l’intervento di forze militari è difficoltoso. Sull’altro versante, nell’Africa centro-occidentale, si registrano frequenti attentati e scontri nel Paese africano più popoloso, ossia la Nigeria, dove il gruppo islamista Boko Haram intende avanzare la sua presenza negli stati limitrofi, come Niger, Chad, RCA e Camerun. Proprio in quest’ultimo si registrano anche scontri dovuti ai separatisti dell’Ambazonia, la regione anglofona confinante con la Nigeria, che cerca l’autonomia dallo stato centrale francofono camerunese. Più a nord, il Sahel e il Maghreb sono il teatro di uno scenario di instabilità ormai diffuso in tutta l’area. Si tratta di un territorio immenso che coinvolge stati dal Mali fino al Sudan, passando per Niger, Chad, Burkina Faso. La fascia settentrionale del Sahara, ossia Mauritania, Algeria, Libia fino all’Egitto, è anch’essa coinvolta. Territori aridi, poveri, talvolta scarsamente popolati e difficili da essere controllati da stati centrali con le proprie capitali lontanissime, confini porosi attraversati e gestiti da milizie armate, sono zone fertili per il proliferarsi del caos. Sono numerose le missioni militari straniere e internazionali nel contesto, così come le iniziative degli stati interessati, vedasi il G5, volte alla messa in sicurezza della regione. Tuttavia, sono però continue le notizie di perdite di militari sia dei Paesi coinvolti sia dei contingenti extra-africani, così come sono frequenti gli attentati ai danni di civili, con perdite innumerevoli e popolazioni d villaggi decimati. Tutto ciò fa presagire che l’area in questione per molto tempo sarà instabile o che vivrà di conflitti latenti. Altri scontri sono dettati da motivi strategici, come quello dello stato centrale etiope nei confronti della regione a nord del Tigray, così come le crescenti tensioni tra Etiopia, Sudan ed Egitto per il controllo delle risorse idriche. Nonostante la pandemia, diversi africani si sono recati alle urne per il rinnovamento delle loro figure istituzionali. In molti casi, sono stati riconfermati i presidenti in carica, non senza polemiche sui risultati, con l’effetto del prolungamento al potere di uomini ormai alla guida da più di un decennio. Scontri e proteste si sono susseguiti a seguito dei risultati elettorali, purtroppo con delle perdite d vite umane.

Ma l’Africa non può e non deve essere vista esclusivamente attraverso gli occhi del conflitto: se da una parte c’è un mondo che vive in pace e affronta la pandemia, c’è chi lo fa in situazione di crisi, ma non può essere la crisi stessa il metro di giudizio per parlare dell’Africa.

Prima di concludere, dopo aver dato questa panoramica della situazione in Africa, mi soffermo su un elemento positivo che a lungo andare potrà portare tangibili benefici al continente: la Grande Muraglia Verde del Sahel (GGW), un progetto ideato dall’Unione Africana per fermare l’avanzata del deserto del Sahel e la conseguente siccità. E’ notizia di questo mese che sono stati stanziati 14 miliardi di dollari dalla Banca Mondiale per l’implementazione del muraglia che si estenderà dal Mar Rosso fino all’Oceano Atlantico. Contribuirà al miglioramento della condizione di vita delle popolazione desertiche, al sostegno verso la preservazione della biodiversità e sopratutto alla lotta. Verso i cambiamenti climatici. ARCS è impegnata direttamente a sostenere questa iniziativa attraverso i suoi progetti di cooperazione, come la costruzione della fattoria agroecologica di Souff

Anche se affronta tanti problemi, l’Africa alza la testa forte del suo carattere resiliente, pronta ad affrontare le sfide del domani. Il nostro impegno al fianco dei partner locali resta quindi una priorità.

 

FONTI

https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Muraglia_Verde 

https://www.africanews.com/2020/12/24/year-in-review-africa-s-2020-elections//

https://www.corriere.it/esteri/21_gennaio_16/africa-quei-54-voti-all-onu-che-fanno-gola-cina-perche-l-europa-resta-guardare-d446d7f4-5756-11eb-8f51-2cbbf1c2346f.shtml

https://www.bbc.com/news/world-africa-55476831

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