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Paesi di intervento
di Giuseppe Cammarata
Non credo che ci siano parole più adatte per descrivere in sintesi la situazione sociale, economica, sanitaria e politica del Libano, paese in cui ARCS è presente da decenni ma che mai ha conosciuto un livello di povertà e di fragilità sociale come quello che ha vissuto nel 2020 e sta continuando a vivere nel 2021.
Ormai mancano davvero le parole per raccontare la vita di libanesi e rifugiati accomunati dall’insicurezza alimentare, dall’impossibilità di acquistare farmaci e beni di prima necessità, dalla “borsa nera” dove si scambia ormai di tutto, dai dollari alle bombole di ossigeno. Alcune Agenzie delle Nazioni Unite la definiscono ormai apertamente una “catastrofe umanitaria”.
Lo scorso fine settimana ci sono state forti proteste con blocchi stradali un po’ in tutto il Paese, ed alcuni assalti a negozi e supermercati. E non da parte di “bande di giovinastri”, come sono stati definiti da alcuni mezzi di comunicazione locali, bensì da padri di famiglia disperati per il carovita schizzato alle stelle nel corso dell’ultimo anno.
Inoltre, nei primi giorni di questa settimana le forze di sicurezza libanesi hanno impedito allo staff delle varie organizzazioni libanesi ed internazionali attive nel settore umanitario di entrare nei campi tendati dei rifugiati siriani in Beqaa. Ufficialmente per motivi di sicurezza, dal momento che il Paese è ancora in lock-down e vige il coprifuoco serale almeno ancora fino al 31 marzo. Nella realtà perché i libanesi non sono affatto contenti (per usare un eufemismo) degli aiuti alimentari e dei sostegni economici erogati ai siriani, lamentando una discriminazione nei loro confronti e l’impossibilità di accedere ai medesimi aiuti e sostegni.
Naturalmente nessuna delle organizzazioni attive in Libano, ARCS inclusa, fanno alcuna discriminazione o preferenza a seconda della nazionalità dei destinatari dei propri interventi. L’unica discriminante è il grado di vulnerabilità sociale ed economica, calcolato secondo svariati parametri. Ma purtroppo, come sempre accade in questi casi, le voci e le accuse montate ad arte servono a contribuire a sviare le vere responsabilità del fallimento dello Stato.
Che, come sempre in questi casi, ricadono sulla classe dirigente politica ed economica: per oltre sette mesi Sa’ad Hariri, incaricato per la quarta volta di formare un governo, non è stato in grado di superare i veti incrociati fra le opposte fazioni politiche che compongono (e bloccano) il parlamento libanese. Nel frattempo il Paese è precipitato in un livello di povertà mai toccato neanche durante gli anni peggiori della guerra civile e le élite al potere continuano ad approfittarne.
Ad esempio, a gennaio la Banca Mondiale ha concesso al Libano un prestito di 246 milioni di dollari con l’intento di sostenere le famiglie libanesi più vulnerabili. Purtroppo, invece di subordinare tale prestito a vere riforme politiche, economiche e sociali che possano contribuire ad alleviare la crisi di sistema in corso (come da tempo chiedono a gran voce diversi donatori internazionali fra le quali l’Unione Europea), la Banca mondiale ha semplicemente trasferito tali fondi alla Banca Centrale libanese affinché li trasferisse a sua volta al Ministero degli Affari Sociali.
Contribuendo quindi ancora una volta a sostenere un’istituzione (la Banca Centrale) che si è fin qui dimostrata non solo incapace di fronteggiare l’enorme inflazione e l’altrettanto conseguente enorme perdita del potere di acquisto della lira libanese, ma che in realtà con le sue discutibilissime azioni ha favorito e continua a favorire l’impoverimento generale del Paese a scapito dell’ulteriore arricchimento di pochi banchieri.
In questo contesto ARCS grazie ai propri progetti ed alle raccolte fondi continua a supportare insieme ai propri partner locali ed internazionali i gruppi sociali più vulnerabili senza discriminazione alcuna: rifugiati, detenuti, minori non scolarizzati, donne capofamiglia prive di reddito, persone con disabilità.
Paesi di intervento
Progetti
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