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Paesi di intervento
Nell’ambito del progetto “Pinocchio: cultura, sport, partecipazione civica e social network contro le discriminazioni per una maggiore inclusione sociale (AID11786)” cofinanziato da AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, abbiamo organizzato insieme a Wunderbar Cultural Projects un laboratorio itinerante a Roma, intitolato “HATE MAP ROME“.
Due giorni di attività insieme a giovani studenti per costruire una mappa contro l’odio, attraverso un percorso in alcuni quartieri della capitale, il cui tessuto racconta ancora storie di odio e di intolleranza verso minoranze di diverso genere.
“Abbiamo tracciato una mappa, l’abbiamo fatto nella nostra città, abbiamo ripercorso i luoghi dell’odio, abbiamo parlato con le persone, abbiamo meditato sul passato, sperato nel futuro. Abbiamo scritto parole d’odio e parole d’amore. Le abbiamo attaccate in giro per Roma ci abbiamo messo la faccia. Siamo i ragazzi delle Belle Arti…”
Questo il commento degli studenti che, nella seconda fase più operativa del laboratorio, hanno “disseminato” in città la mappa fatta di parole e immagini stampate su manifesti gialli.
Abbiamo intervistato le protagoniste del laboratorio, l’artista Elena Bellantoni e la Project Manager Culturale dell’associazione Wunderbar Cultural Project Manuela Contino
Elena Bellantoni – artista – ideatrice del laboratorio di cittadinanza attiva “HATE MAP ROME”
La geografia dell’odio è il nome che ho scelto per il laboratorio itinerante che ha attraversato le cicatrici delle strade di Roma. Ho pensato di creare una Hate Map Rome per riflettere sulle parole d’odio, sul linguaggio e sui pregiudizi che compongono la geografia della nostra città. Le parole sono diventate il centro di questo percorso, esse definiscono la semantica della nostra esistenza e proprio grazie al linguaggio possiamo costruire delle contro-narrazioni per creare nuove dimensioni di convivenza.
Siamo partiti da Testaccio dalla Città dell’Altra Economia dove c’è il centro Ararat, abbiamo incontrato Said, traduttore e artigiano (costruisce giocattoli di legno) che ci ha raccontato la storia del Kurdistan, uno stato non riconosciuto e minacciato. Abbiamo scoperto che dentro la comunità di Roma c’è un posto che racconta di un altro Paese che non vede ancora riconosciuti i suoi diritti elementari, come i diritti civili, sociali e politici a carattere individuale, oltre che il diritto all’autodeterminazione.
Da lì abbiamo iniziato a riflettere sulle “hate words” che sono state disseminate anche in quest’anno pandemico, partendo dai social, i cosiddetti haters che si sono scagliati contro le donne e i migranti, le minoranze, gli ebrei; per esempio, ci sono stati molti insulti alla senatrice Liliana Segre nel corso degli ultimi mesi. Durante lo scatenarsi della pandemia da Covid-19, ansie, paure, difficoltà si sono affastellate nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti.
Siamo poi andati al cimitero acattolico dove abbiamo letto un estratto di Pasolini, Il pianto della Scavatrice (da Le Ceneri di Gramsci) e una lettera di Gramsci – sepolto in questo cimitero – dal carcere alla madre. Abbiamo riflettuto su come anche gli intellettuali possono essere oggetto d’odio e di intolleranza: chi non segue il sistema dominante o la vita impostata in un certo modo può essere condannato e diventare oggetto di discriminazione, odio e pregiudizi. Entrambi i due intellettuali sono due voci fuori dal coro. Gramsci venne arrestato nel 1926 – a causa della repressione e del dissenso del partito fascista – e morì in carcere anni dieci anni dopo; Pasolini fu accusato di corruzione di minore e atti osceni processato scappò a Roma nel 1950, venne massacrato all’idroscalo di Ostia nel 1975.
Abbiamo proseguito verso il ghetto soffermandoci sulle “pietre di inciampo” di Gunter Daming – artista tedesco – e la storia degli ebrei a Roma; abbiamo concluso il nostro percorso sul Ponte Garibaldi dove morì la giovanissima Giorgiana Masi durante una manifestazione pacifista del partito radicale nel 1977.
Alla fine di questa camminata ho dato agli studenti un compito: ripercorrendo durante la settimana successiva gli stessi luoghi di lasciare delle parole che fossero sia di pregiudizio ma anche di risposta a questi pregiudizi. Per esempio, sul ponte Garibaldi, Gioia, una studentessa ha scritto “zecca comunista” e accanto al “pregiudizio” ha invece scritto la parola di risposta all’odio: “compagna”; proseguendo nel ghetto gli studenti hanno scritto la parola “usurai”, che è una parola di pregiudizio e stereotipo verso gli ebrei. I ragazzi che hanno partecipato alle passeggiate hanno provato vergogna nello scrivere le parole d’odio. Scrivere le parole in questi fogli colorati, è stato un gesto apparentemente semplice ma i ragazzi hanno avuto paura di essere osservati e giudicati dagli altri. Nella restituzione hanno evidenziato, inoltre, come le parole “positive” fossero molto più difficili da individuare rispetto agli stereotipi: quindi è stato importante lavorare su questi sentimenti.
La camminata, il percorso è stato un lavoro non solo da consegnare all’Altro ma un lavoro sul sé – su questa dicotomia che abbiamo tutti – farlo emergere internamente e trascriverlo significa essere in prima persona promotori di un possibile cambiamento.
I ragazzi hanno ri-tracciato il percorso fatto con nuovi significati, ri-nominando, ri-abitando lo spazio pubblico attraverso un’azione di cittadinanza attiva, affiggendo sui muri questi manifesti con delle parole per creare delle nuove narrazioni. Attraverso questa semplice azione il linguaggio ed il corpo sono diventati i protagonisti di questo percorso esperienziale e condiviso. Quando parliamo di cittadinanza attiva è questo. Le parole sono importanti! come diceva Nanni Moretti.
Manuela Contino – project manager culturale dell’associazione Wunderbar Cultural Projects
Il primo passo è quello di innescare una reazione immediata e poi una riflessione su ciò che si legge, rivolgendosi alla cittadinanza tutta. Hate Map Rome è stato un intervento che nella restituzione, in special modo, potremmo definire di Urban Guerrilla. Coloro che passando vedono questi manifesti appesi a Testaccio e Trastevere possono fermarsi, leggerli e collegare i significati di odio e di risposta all’odio lasciati attraverso i poster. Osservando alcuni di essi in particolare è abbastanza immediato il rimando ai luoghi della città che hanno generato – per motivi storici, sociali e politici- determinati tipi di messaggi.
Gli stessi studenti e studentesse partecipanti a questo workshop, hanno maturato un percorso graduale sul tema. Nella prima fase sono stati semplici ascoltatori delle parole di chi è stato chiamato ad intervenire, che hanno testimoniato fatti e narrato storie appartenute a quei luoghi e sono stati anche osservatori di simboli e oggetti ancora presenti nelle strade in commemorazione di eventi ancora impressi nel tessuto della città. Durante la settimana successiva, i ragazzi hanno fatto emergere riflessioni personali molto intense, arrivando a sviluppare un proprio ragionamento, una propria idea di ciò che può significare discriminare attraverso il linguaggio, celare il pregiudizio dietro le parole, cercando di comprendere le ragioni profonde di determinate etichette – retaggio di avvenimenti storici e di condizioni sociali che è tempo di superare – e le conseguenze alle volte anche drammatiche che questo può provocare. Il percorso ha generato un processo di alfabetizzazione su cosa può significare l’hate speech, del valore che può avere appellare le persone in un modo piuttosto che in un altro, quindi avviare una politica di pulizia del linguaggio che è un aspetto che nei paesi anglosassoni per esempio è molto importante, specialmente a tutela di forme di razzismo verso minoranze etniche o di sessismo in diversi ambiti. E’ uso redarguire le persone che usano impropriamente le parole verso le minoranze, o verso persone ritenute deboli nella società. Qui in Italia non abbiamo ancora una policy così forte in questo senso e progetti partecipati come ‘la geografia dell’odio‘ possono attivare in maniera immediata e diretta dei processi importanti di attenzione verso forme di intolleranza, odio e pregiudizio che quotidianamente possiamo rintracciare anche nel linguaggio di chi ci sta intorno.
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