23Giugno2021 La resilienza di una comunità che non si arrende, così come un’Acacia senegalese

Condividi

di Camilla Orizio, Volontaria Servizio Civile Universale

Ormai nel lontano 2019, poco dopo aver conseguito la laurea specialistica, decisi di candidarmi al Servizio Civile Universale in Senegal in un progetto di cooperazione internazionale che rispecchiava i miei interessi e che mi avrebbe permesso di partire per una remota area del Sahel senegalese alla scoperta di un settore lavorativo che avevo conosciuto solo sui manuali universitari.

Dopo poco più di tre settimane dall’arrivo nella sede locale di ARCS nel villaggio di Nguith a 300km dalla capitale succede l’inaspettato: un improvviso rimpatrio dovuto alla ben nota situazione di pandemia globale, mi catapulta al punto di partenza, e mi ci lascerà per mesi; mesi di speranza e di attesa.

Dopo 7 lunghe lune, finalmente, arriva l’autorizzazione per la ripartenza, fortuna che non tutti i volontari impegnati all’estero hanno avuto. Quasi ad un anno esatto dall’ invio della mia candidatura, approdo per la seconda volta in Senegal, pronta per una nuova ed adrenalinica (ri)partenza.

Il primo impatto con il territorio è stato rincontrare Dakar: una città messa in ginocchio da mesi di stato d’emergenza e da misure restrittive. Da Dakar ci si mette “en route“, per percorrere i kilometri della strada nazionale asfaltata che taglia il paese da est a ovest. Sotto gli occhi scorrono uno dietro l’altro villaggi minuscoli e distanti fra loro, dimenticati da tutti, fuori dal tempo e dallo spazio; il sole non concede tregue a carretti trainati da asini sfiniti e mezzi di trasporto di qualsiasi tipo, carichi di bagagli, di persone e di storie.

Mi immergo fin da subito nelle attività del progetto SOUFF, sicuramente rallentate dalla pandemia ma mai del tutto interrotte. Con l’accompagnamento del coordinatore di progetto e dell’equipe locale mi ambiento velocemente e tra giornate scandite dal lavoro al campo e in ufficio questi mesi passano in un respiro. Il momento della giornata che preferivo era quando, finito il duro lavoro al campo, potevo gustarmi dal cassone del pick up che ci riportava al villaggio, momenti di genuina e semplice convivialità delle persone del posto: donne e uomini e talvolta anche neonati, di tutte le età e di etnie diverse, scherzavano e parlavano inarrestabilmente in una lingua che, dopo mesi, diveniva sempre più familiare anche al mio ascolto; la stanchezza di una dura giornata di lavoro avrebbe dovuto rendere tutti più spenti, invece era il momento di massima vitalità, dove anche solo con uno sguardo o con un sorriso si riusciva a capirsi.

La vita in un piccolo villaggio nel deserto, lontano dalla frenesia e dall’agio della città, mi ha permesso di conoscere la difficile quotidianità delle comunità rurali della zona, come per esempio i peul, gruppo etnico seminomade che vive di pastorizia e che si sposta durante l’anno alla ricerca di zone in cui poter trovare foraggio a sufficienza per nutrire il proprio bestiame. Se da un lato la natura sembra voler combattere con tutte le proprie risorse la presenza umana, ciò mi ha permesso di conoscere la forza e lo spirito d’adattamento della popolazione locale, che per ogni difficoltà detiene “un’astuzia” e che nutre un legame molto forte con la propria terra. Al caldo torrido, alla sabbia che permea l’aria, al vento che talvolta si trasforma in improvvise tempeste, si deve aggiungere la quasi totale assenza dei servizi di base.

Così come nel mondo vegetale la natura è costretta a difendersi e gli arbusti e le piante sviluppano aculei affilati, come l’Acacia sengalensis da cui si può ricavare la famosa gomma arabica, la popolazione ha sviluppato uno stile di vita che permette loro di affrontare, almeno in parte, le difficoltà climatiche, adattandosi alle sfide esterne. Lo spirito combattente di chi non si arrende mai lo si poteva leggere nitidamente negli sguardi che ho incrociato, nelle mani che ho stretto, negli abbracci che ho ricevuto e nelle parole che ho scambiato.

Questo viaggio è stato ricco e intenso, non senza sfide, un percorso ad ostacoli che mi ha permesso di mettermi in discussione, ripensarmi, di scoprire un settore lavorativo che fin dall’università aveva catalizzato la mia attenzione e che mi ha permesso di innamorarmi delle persone.

Jërëjëf a tutte le persone che ho incontrato su questo cammino, che mi hanno cambiata e che rimarranno nei miei ricordi più belli!

paesi d'intervento

11

Paesi di intervento

progetti

250

Progetti

operatori locali

500

Operatori locali

Iscriviti alla newsletter

Come usiamo i fondi

8%Alla struttura

92%Ai Progetti