29Aprile2022 Un gattino tra le gambe e i fratelli in fuga dalla guerra: «Grazie, Carovana della Pace»

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di Silvia Stilli, direttrice ARCS

H. ha lasciato il marito ferroviere e combattente in Donbass, scappando con il figlio e la madre assieme alla cugina, anch’essa con il figlio e il gatto Wiskas. H. ha una forza d’animo e un’energia che trasmettono fiducia e sicurezza, un fisico asciutto e occhi bellissimi, celesti e lucidi, dallo sguardo dolce e triste, ma allo stesso tempo pieno di speranza e affetto. La sua volontà di ricostruire un nucleo abitativo in pochi metri quadrati di una stanza di albergo alla periferia romana è visibile e dà vita a uno spazio ristretto e con scarsa luminosità. La madre di H. è stata ricoverata all’Ospedale Sant’Eugenio qui a Roma due giorni dopo l’arrivo. È una donna straordinaria, che ha affrontato da fine marzo un lungo viaggio a tappe con chilometri di ferrovie e pullman, aggravando il suo precario stato di salute. L’abbiamo vista sofferente ma con il sorriso.

Ho accompagnato H. a parlare con i medici in ospedale: conosce bene la lingua inglese, il personale del Sant’Eugenio un po’ meno. Ha accettato con pazienza la riposta negativa alla sua richiesta di poter stare accanto alla madre almeno qualche ora al giorno ed è tornata all’albergo dicendomi: «Sono fuggita dalla guerra soprattutto per lei, credimi, percercare di curarla, adesso sarebbe assurdo perderla senza averle dato almeno un breve periodo di pace».

Un passamontagna verde

S. fa il pizzaiolo, adora ovviamente l’Italia, non vede l’ora di portare la famiglia a vedere il mare. È venuto via da Dnipro, alle cui porte c’è la guerra civile dal 2014, con la moglie, il ragazzino, N., la bambina piccola. La sua casa e la pizzeria almeno fino a oggi non sono state distrutte, fortunatamente. Usa il traduttore vocale istantaneo di google con naturalezza, per cercare soprattutto di trovare risposta alle domande su quel che occorre fare nei prossimi giorni per accedere alla vita quotidiana con i documenti in regola, uscendo dall’isolamento dell’albergo. Abbiamo visto N., suo figlio, la mattina presto appena arrivato al seminario della fondazione Don Orione a L’viv (Leopoli) nella neve: aveva indosso un buffissimo passamontagna verde e uno sguardo leggermente diffidente.

Ha conquistato subito la nostra simpatia. Le liste dei bisogni e delle criticità che S. da una settimana compone e ci illustra sono accompagnate sempre da una frase più o meno di questo genere: «So che voi state facendo tutto questo volontariamente e l’averci portato qui via dalla guerra è una cosa grandissima di cui non possiamo che ringraziarvi all’infinito. Non vorrei che con tutte le nostre continue insistenze vi stancaste».

S. e H. si preoccupano soprattutto della sorte futura di una famiglia particolare, che sta tanto a cuore anche a noi. Si tratta di una coppia di anziani con un figlio disabile, che a seguito di un incidente ha avuto un gravissimo trauma cranico con le conseguenze neurologiche evidenti. La madre sorride sempre, cerca di mettere una vena di allegria nella quotidianità difficile, mentre il padre accarezza il figlio e osserva il panorama dei campi incolti e palazzoni fuori delle grandi vetrate del sesto piano dell’Hotel Marriott, con uno sguardo «assente» e al tempo stesso visibilmente preoccupato. La loro casa non c’è più, è stata distrutta dai bombardamenti, non ricordo se in Donbass o vicino Mariupol. Figlie e nipoti sono sparsi per l’Ucraina, l’altro figlio maschio è a combattere. Sono fuggiti in corsa con solo una piccola valigia. Non chiedono mai nulla, non li vedo con un telefono cellulare in mano come gli altri ospiti. Quel telefono è il legame con il proprio Paese martoriato da morti, violenza e distruzioni di abitazioni, stazioni, scuole, luoghi di cultura e socialità.

Conseguenze

Ormai conosciamo il segnale dell’«alert», il suono che proviene dall’applicazione ucraina che segnala la situazione di probabili bombardamenti: l’abbiamo caricato sui nostri cellulari quando siamo andati a L’viv. Purtroppo gli alert non diminuiscono con il passare dei giorni, anzi, sembrano intensificarsi. E condividiamo con loro, gli ospiti del sesto piano dell’Hotel Marriott qui a Roma, l’ansia delle conseguenze, consultando internet per capire se a seguire sia avvenuta un’altra drammatica distruzione.

«Noi» chi siamo? Le volontarie e i volontari delle organizzazioni romane di Aoi e Arci Solidarietà onlus che dal primo al 3 aprile scorso hanno aderito alla Carovana per la Pace di 65 mezzi e 220 partecipanti da tutta Italia, che ha portato in Ucraina 52 tonnellate di aiuti alimentari, medicinali, anche dispositivi per disabili. A L’viv abbiamo incontrato le ong locali e i gruppi di persone attive nella città e nello shelter della stazione per l’accoglienza di quel fiume di anime terrorizzate in fuga dalle tante zone fortemente colpite dall’orrore dell’assurdità della guerra. Ci ha ospitati il seminario dell’Ordine di Don Orione, in periferia, a pochi chilometri dalla zona bombardata nei giorni precedenti dai russi.

Parte della narrazione

Al ritorno, in accordo con l’assessora alle Politiche sociali del Comune di Roma Barbara Funari, grazie al supporto del suo ufficio e all’interesse del sindaco Roberto Gualtieri, abbiamo portato con noi un pullman affittato grazie a una rapida raccolta di donazioni con queste 47 persone, soprattutto famiglie con minori e disabili, anziani anche soli.Abbiamo cercato di garantire la salvezza immediata, ma la sfida adesso è trovare il modo di offrir loro le opportunità per un futuro fuori dagli orrori e dall’incertezza. La maggior parte di loro tornerà in Ucraina, chissà quando, mentre altri sperano di vivere nella Città Eterna. Non sarà facile, ci stiamo provando e non li lasceremo soli. La macchina della solidarietà è in moto. Le loro storie sono parte ormai della nostra narrazione quotidiana, come l’immagine in una fotografia illuminata di speranza che sta girando nella chat della Carovana: quella della bambina e del fratello che si sono portati in braccio un gattino per quasi 40 ore di viaggio attraverso il loro Paese e verso l’Italia.

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