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Paesi di intervento
di Matteo Sirgiovanni, collaboratore ARCS
Martedì 31 Maggio. Per gli ospiti dell’Hotel Marriott fuggiti dall’Ucraina, si sono tenute le prime lezioni del corso d’italiano.
Un’iniziativa organizzata da ARCS ed Arci Solidarietà, pensata e progettata per venire incontro ai bisogni delle rifugiate e dei rifugiati.
Infatti, uno degli aspetti maggiormente negativi di chi fugge da un evento di tale portata, è proprio l’assoluta mancanza di certezze per quel che riguarda il futuro. In tale contesto, imparare la lingua italiana può fare una differenza enorme. Diventa così possibile poter cercare un lavoro, valorizzando le competenze assunte in anni ed anni di studio e lavoro in Ucraina, prima che la violenza di questa guerra si abbattesse sulla popolazione, operando una netta cesura tra la vita prima e dopo le bombe sulle città. Non solo: grazie alla lingua, diventa possibile anche ricostituire une rete sociale indispensabile contro la solitudine e la marginalità. Che in questi casi possono essere dietro l’angolo.
Alla “call” hanno risposto con entusiasmo più di 15 insegnanti volontari. Così è stato possibile, in base alle loro disponibilità, poter garantire una lezione di un’ora e mezza effettiva per cinque giorni a settimana.
Martedì è stato il giorno delle presentazioni, il giorno in cui – come per ogni corso che si rispetti – il primo obiettivo è stato quello di rompere il ghiaccio. Ebbene, a giudicare dalle reazioni dei partecipanti, quel ghiaccio è stato sciolto. All’inizio, alcune persone, sono entrate quasi di soppiatto per la timidezza. Ma dopo poco, grazie, anche, all’ottimo approccio delle insegnanti, i più taciturni hanno iniziato ad interagire rendendo la lezione partecipata e dinamica. Scrivevano, parlavano tra loro utilizzando alcuni vocaboli italiani, spiegavano alla compagna vicina in ucraino un passaggio della lezione, ridevano ed erano felici.
Al termine di questo primo appuntamento molti dei partecipanti, con tutte le incertezze e gli errori del caso, erano già in grado di formulare un’elementare frase di senso compiuto: “Sono Olyena, ho 35, sono ucraina e sono un’operatrice sanitaria”. Una frase che noi diciamo molte volte, senza accorgercene, e che è il nostro biglietto da visita. Mentre per loro, quella stessa frase pronunciata con molti più tentennamenti e fatica, può rappresentare una chiave in grado di aprire una porta verso un nuovo corso della propria vita. Fatto di serenità e fiducia nel futuro, lontano dal sibilo assordante dei missili e dal boato sordo delle granate.
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