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Paesi di intervento
di Anna Galvagno
Un ritratto dell’attivista e politica Rabe’a Abdasslam Al Majali.
La storia di Rabea’a Abdasslam Al Majali inizia su un pezzo di carta. Quando era ancora una bambina, scriveva: “Io, Rabe’a Al Majali, diventerò dottoressa di lingua araba all’Hashemite University”. Quel gesto la fa ancora sorridere, mentre un velo di seta rosa aderisce perfettamente al viso allungato. Ha le sopracciglia sempre corrugate, lo sguardo teso all’ascolto. Anche se oggi non lavora all’Hashemite University, non si è mai dimenticata di quelle parole. “Sono rimaste per tutta la vita scolpite nel mio cuore”.
Le parole su quel pezzo di carta non contengono un sogno astratto, ma l’inizio di una lotta instancabile contro una società che minacciava di negarle tutto: un’istruzione, un lavoro, una vita dignitosa e autonoma.
Nascere in Giordania negli anni ‘70 con una disabilità visiva congenita significava, con ogni probabilità, essere condannati a una vita di esclusione. Eppure oggi Al Majali, 53 anni, divide il suo tempo tra diversi incarichi pubblici: è assistente del Direttore e insegnante di arabo presso la Mutah University, a sud di Amman, è portavoce per il Sud nell’Higher Council for the Rights of persons with Disabilities, e leader dell’organizzazione Al-Surra – Società per i diritti delle persone con disabilità. Molti video su Youtube raccontano il suo percorso di lotta per i diritti dei disabili. Viene ripresa in aula, tra i banchi, mentre fa lezione di lingua araba agli studenti universitari o mentre scrive con una speciale tastiera Braille. In effetti, lei stessa si identifica, nonostante i suoi diversi incarichi, soprattutto come insegnante: “I miei tre lavori sono legati l’uno all’altro, sono come una famiglia per me. Ma il mio posto è sempre con gli studenti. Amo la fiducia che si crea tra noi, il modo con cui mi dimostrano il loro affetto”.
Al Majali nasce nel 1969 nel piccolo villaggio di Al-Qasr, nel Governorato di Karak, a sud di Amman. All’epoca nessuno pensava che le persone con disabilità visiva potessero andare nelle scuole governative tradizionali, “in Giordania, negli anni ‘70, non c’era neanche l’elettricità e le macchine erano poche. In più, a livello culturale non era accettabile che una donna andasse a vivere da sola, in collegio. Amman era a due ore di macchina, ma mi sembrava lontanissima”.
Il fratello e la sorella andavano a scuola e lei ogni giorno sogna di unirsi a loro. “Immaginavo di preparare anch’io il mio panino al formaggio e zaatar, metterlo nello zaino, aprirlo e annusarlo a scuola”. Invece non poteva fare altro che ascoltare. Sentiva spesso i bambini del suo quartiere lamentarsi per la severità degli insegnanti. “Se non erano preparati, venivano colpiti dal maestro sulle mani”. Al Majali invidiava anche quello, non desiderava altro che vivere una vita simile alla loro. “Perché loro sì e io no?”, si chiedeva.
“Ho perso molti amici perché non avevo un’istruzione. I ragazzi e ragazze che ho conosciuto da bambina si sentivano superiori e mi escludevano”. Mentre gli amici diminuivano, nei 16 anni passati in casa Al Majali non perde tempo: impara a cucinare e a pulire, si siede con i suoi genitori e assorbe tutto quello che può sulla cultura locale. Sua sorella registrava libri e poesie su una cassetta: è nato così un amore assoluto per la lingua e la letteratura araba.
Nel 1985 è stato aperto un centro regionale di insegnamento per ragazze con disabilità visiva. Quando Al Majali lo ha scoperto, ha chiesto a suo fratello di aiutarla a trovare il numero sull’elenco telefonico. “Al telefono finsi di essere mia madre. Chiesi nei minimi dettagli quali fossero i documenti da preparare e gli strumenti che dovevo procurarmi”. Dopo questa ricerca, non restava che convincere i riluttanti genitori.
Così, a sedici anni, approdava finalmente ad Amman. “In quel centro iniziavo una nuova vita. Ancora oggi, nella società giordana, è difficile accettare che una donna lavori. Quindi è stato un grande risultato trasferirmi nella capitale”.
Il trasloco non è stato l’unico cambiamento. “Mentre ad Al-Qasr conoscevo pochissimi casi di persone con disabilità, nel centro ho capito che c’erano tante persone come me. Ci sostenevamo a vicenda, ci prendevamo cura l’una dell’altra, eravamo uguali. Mi sembrava di essermi trasferita in paradiso”.
Dopo l’entusiasmo degli inizi, Al Majali si è resa conto che quel centro non l’avrebbe portata troppo lontano nella sua istruzione. Perciò, viene a conoscenza dell’esistenza di un programma di scambio in Bahrain, finanziato interamente dai paesi del Golfo. Si iscrive.
Ed è proprio in Bahrain che la sua istruzione fa il vero salto in avanti. Al Majali si rivela una studentessa brillante, completando quattro anni in uno. Ma a livello personale, è una strada tutta in salita. In Bahrain la gente è più ricca che in Giordania e gli standard di vita dei suoi compagni di classe erano troppo alti. Iniziava a sentirsi discriminata, perché non voleva chiedere ai genitori più dello stretto necessario. Un giorno, non ce l’ha più fatta. “Appena scesa dall’aereo, ho baciato la terra della mia amata Giordania”.
Si iscrive a una scuola superiore femminile con la consapevolezza di essere otto anni più grande delle sue compagne di classe, e di non essere più circondata soltanto da persone con disabilità. “È qui che ho iniziato a sviluppare l’idea di inclusione delle persone con disabilità nella società. E forse è nata anche qui la mia attitudine da leader e attivista: ero la più grande e mi sentivo come una mamma per le altre studentesse”.
Il concetto di “educazione inclusiva” non è scontato né sul piano teorico, né nella sua attuazione pratica. Inteso dall’UNESCO come “il processo che consente il pieno accesso ad opportunità di apprendimento di qualità per ogni bambino”, in molti sistemi educativi è stato a lungo assente. “L’idea di un’educazione inclusiva non esisteva proprio in Giordania negli anni ‘90”, spiega Al Majali, “ma la sentivo nascere dentro di me”.
È con questa consapevolezza che si iscrive al Baccalaureat, simile alla laurea triennale, alla Mutah University. L’amore per la lingua araba si traduce in ottimi risultati: riesce a completare il percorso in tre anni anziché quattro. Alla magistrale inizia a impegnarsi attivamente, facendo volontariato per aiutare le altre persone con disabilità. Sente di capire le loro difficoltà, perché sono anche le sue.
Nel 2006 consegue il dottorato alla Mutah. Nella pagina dei ringraziamenti della tesi, la neo-dottoressa Rabea’a Al Majali scrive “La felicità rende l’essere umano più grande. Purtroppo non sono riuscita a scrivere i vostri nomi in questo pezzetto di carta sporca, ma sono tutti scritti nel mio cuore”. Si rivolge a quelle persone, amici e familiari, che la vedono per quella che è. “Sono fortunata ad avere persone attorno che mi vogliono bene come Rabea’a, non solamente per pietà o empatia verso una persona con disabilità”.
Un anno dopo “Doctora Rabea’a”, come si fa chiamare oggi, viene assunta come professoressa nella stessa università. “Fu una soddisfazione enorme, certo, ma accompagnata da una grande pressione. Sapevo di essere un esempio: quello non era un successo solo mio, aveva il valore di spianare la strada, sia per le persone con disabilità sia per le donne in generale. ‘Se hanno assunto me, dovranno assumere altre persone come me’, pensavo”. In effetti, poco tempo dopo, altre due persone con disabilità sono state assunte nel corpo docenti. “A loro non hanno fatto tante domande come a me, la procedura è stata molto più semplice”, specifica, con orgoglio.
Eppure un esempio virtuoso non basta. Oggi le sfide per le persone con disabilità in Giordania non sono troppo diverse rispetto a quarant’anni fa. Il bisogno di protezione, assistenza sociosanitaria e accesso a servizi resta alto, soprattutto per quanto riguarda i bambini.
Secondo l’ultimo censimento della popolazione, risalente al 2015, circa l’11% del totale della popolazione sopra i cinque anni hanno disabilità, in Giordania. Inoltre, il dipartimento di Statistica ha evidenziato che nel 2019 i bambini con disabilità erano circa 2,4 milioni, di età compresa tra i 5 e i 14 anni.
Le barriere non sono solamente architettoniche. ARCS è presente in Giordania dal 2012, lavora in partnenariato con l’Higher Council. Le attività organizzate da ARCS si concentrano sul problema di accettazione da parte delle famiglie e della comunità. Molte persone vedono la disabilità come una sciagura da occultare, pensano che Dio abbia dato un figlio con disabilità ai genitori come punizione per i peccati commessi in passato.
Nel 2017, Al Majali realizza che la forza della sua storia personale non è sufficiente a cambiare le cose, e si mette a servizio della comunità. “Siamo scesi in piazza con i nostri bastoni da passeggio e le nostre sedie a rotelle”. Le contrattazioni con il Governo portano all’approvazione della legge 20 del 2017 che sancisce la nascita del Higher Council for the Rights of Persons with Disabilities. Il Consiglio, di cui lei è portavoce per il sud del Paese, ha uno scopo consultivo: fornisce al Governo raccomandazioni legislative in merito ai diritti delle persone con disabilità.
Il suo sforzo a livello politico e legislativo è accompagnato dall’impegno sul campo. Al Majali è anche leader di Al-Surra, un’associazione per i diritti delle persone con disabilità che si trova nel Governatorato del Karak e opera su tutto il territorio nazionale. Oltre ad aiutare nell’accesso ai servizi di base, Al-Surra organizza workshop e eventi per accrescere la consapevolezza sui diritti e i bisogni delle persone con disabilità, attraverso la mobilitazione della società civile.
Ma il futuro potrebbe riservarle altre sorprese, a livello politico. “Sono una persona ambiziosa. Vorrei diventare Ministra dell’Istruzione perché lì sì che si prendono decisioni che hanno un impatto diretto. Non dovrei più passare attraverso comitati e leggi che ci impiegano anni ad essere concretizzate”.
Risultati ottenuti e progetti futuri sono il carburante della vita di Al Majali. Quello che spesso le manca, però, è il tempo da dedicare a se stessa. “Passo con mio fratello, mia sorella e i miei nipoti il mio scarso tempo libero. Siamo molto uniti. A volte però a causa degli impegni con l’Higher Council devo stare ad Amman, e mi dispiace non vederli”. Si prende anche cura della madre anziana. “Le preparo le pastiglie e le cure per la pressione e il diabete. Mio malgrado, sono diventata un’esperta anche in campo medico”.
A questo si uniscono le difficoltà quotidiane del suo lavoro di insegnante. All’inizio, aveva assunto una segretaria che leggesse le risposte dei suoi alunni ai test scritti. Paradossalmente, è stato il COVID a facilitare le cose: “Dal 2020 ho fatto installare un programma che corregge automaticamente i test, e dà subito il risultato”.
Quando le difficoltà appaiono insormontabili, Al Majali ricorda quello che aveva scritto sul pezzo di carta e sorride. “Il successo è come il sapone. Se finalmente raggiungi ciò che hai sempre desiderato, questo lava via tutti i momenti negativi che hai trascorso”.
Affida a queste parole il senso di quanto ha vissuto. Alla fine, sono le gioie più semplici a fare la sua felicità. “Quattro cose, per la precisione: la poesia, i fiori, il profumo, e i bambini”.
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