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Paesi di intervento
di Francesca Presotto
Ho pensato di descrivervi la società giordana comparandola ad un prodotto tipico dell’artigianato, ovvero il tatreez. Questo tipo di ricamo è un frutto collettivo non solo perché le sue trame e origini si perdono, azzuffano e rintrecciano nella storia millenaria dei popoli che hanno vissuto questi territori, nelle alleanze tra le famiglie e nell’affermazione delle loro identità ma anche perché è realizzato collettivamente e ha senso solo se contestualizzato nella comunità. Per quanto riguarda la sua realizzazione, anticamente era appannaggio delle donne che si sedevano in cerchio a ricamare, in senso letterale e figurato: il fatto che i punti si ripetano sempre uguali in schemi geometrici permette, infatti, il fluire della conversazione ed è da considerarsi alla stregua di una pratica meditativa in cui il gesto ripetuto e prevedibile calma e rassicura. I disegni realizzati adornano i vestiti della festa e hanno un valore identitario, oltre che estetico: tradizionalmente rappresentano il villaggio di origine, i prodotti tipici della terra o lo stato civile di una persona, quasi come una carta d’identità cucita addosso.
La società giordana assomiglia a questi piccoli segmenti che si susseguono più o meno agilmente o in modo armonico a comporre una trama complessa in cui un punto non ha senso senza quello che lo precede o lo segue. Il disegno finale è come ci si vuole rappresentare di fronte a se stessi e agli altri.
La cosa curiosa di questo tipo di ricamo è che il suo rovescio è un disegno specchiato e altrettanto sensato, da un certo punto di vista più autentico perché mostra tutti i nodi, gli inciampi, i cambi di direzione che spezzano una trama prevedibile, impreziosiscono il disegno e lo rendono vivo.
Durante la prima tappa del progetto REACTIN, in occasione della visita dei sociologi dell’Università di Bologna, abbiamo cercato di incontrare diverse componenti della comunità per ascoltare prospettive molteplici e cogliere un’idea sfaccettata della società giordana. In particolare, abbiamo provato ad andare oltre alle narrative convenzionali che riguardano questo paese, guardandolo da angoli differenti e, per così dire, ci siamo mossi dal dritto al rovescio della tela per cercare di avere un quadro il più diversificato possibile della situazione dei giovani in Giordania – un paese di giovani, non per i giovani.
La popolazione giordana è composta per circa il 70% da persone con meno di 30 anni, di cui 1/3 NEET ovvero non impegnate in percorsi educativi, lavorativi o di formazione. Le politiche, i processi decisionali e le comunità raramente tengono conto in modo adeguato delle preoccupazioni o degli interessi della popolazione giovanile e, di conseguenza, le aspettative insoddisfatte riguardo a mezzi di sussistenza, reddito, matrimonio e status sociale sono diventate evidenti fattori di frustrazione dei giovani giordani e rifugiati. La rabbia, la mancanza di legami con la comunità e l’angoscia causano una serie di esiti sociali negativi ampi e a lungo termine come, ad esempio, il conflitto aperto con le istituzioni statali o la partecipazione a gruppi organizzati che promuovono ideologie religiose estreme contro la governance democratica.
In concomitanza con la ricerca sociologica dell’Università di Bologna, abbiamo avuto modo di vedere i grovigli del rovescio della tela, i suoi punti sfaldati ma anche come alcune organizzazioni si premurino di riannodarli e renderli più solidi.
Ad esempio, 7hills è un’associazione no-profit basata sullo skateboard che lavora per creare spazi pubblici sicuri, rendendoli vivi attraverso attività gratuite e implementando programmi di skateboarding per l’empowerment per i giovani locali, migranti e rifugiati in Giordania. Underground Amman Tour è un’associazione di promozione delle arti dell’hip hop: organizzano corsi per imparare a ballare break dance, rappare e beat boxing e allevano una scuderia di graffitare (sì, soprattutto donne!) con cui colorano la città, parlando non solo delle loro vite e dei loro sogni ma anche della storia dei loro paesi. Le ideatrici di The Box, invece, hanno avviato un’iniziativa dal basso che punta a rendere l’arte più accessibile alle comunità di tutto il mondo attraverso kit e laboratori artistici semplici e intuitivi.
Se per capire cosa ci sta intorno è imprescindibile partire dalle narrative convenzionali e ufficiali che ci vengono presentate e quindi guardare al ricamo finale e confezionato – per così dire, al dritto della tela – forse qualcosa di interessante esiste anche nei vuoti o nelle storie taciute e chissà che, nel rovescio, in quei cambi di direzione, nodi e nelle pieghe più piccole non si nascondano delle prospettive interessanti o, magari, il futuro.
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