12Settembre2022 Giordania: la mia seconda volta

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di Benedetta Bassi, volontaria nell’ambito del Servizio Civile Universale in Giordania

Comprendere a fondo un paese non è una missione semplice.

Nel 2020, ho vissuto e studiato ad Amman per un anno. Eppure, mi sono resa conto che durante il mio primo soggiorno nel Paese ho vissuto da turista perenne. Parlavo arabo, ma non abbastanza da conversare con le persone per strada; ho viaggiato attraverso il Paese, ma ho visitato solo le mete più turistiche; avevo amici locali, ma passavo la maggior parte del mio tempo con altri studenti Europei. Ho amato vivere ad Amman, ma al termine del mio anno di studi in Giordania sentivo di non aver raggiunto tutti gli obiettivi che mi ero prefissata.

Il servizio civile mi ha dato una seconda opportunità per vivere ad Amman e superare i miei precedenti traguardi. Questa nuova esperienza nel Paese mi sta permettendo di andare oltre alla Giordania turistica, e di vivere il Paese attraverso gli occhi dei locali. Ora parlo arabo il più possibile con le persone, passo più tempo con i miei amici giordani e non, e scopro posti magnifici fuori dal tracciato turistico.

Questi propositi mi hanno portato qualche settimana fa al quartiere Hashemi Al-Shamali, nella parte orientale di Amman, il quale ospita migliaia di rifugiati. La parola rifugiato, il più delle volte, evoca automaticamente immagini di persone che vivono in campi improvvisati, sparse attraverso migliaia di tende, come a Calais, Lesbo e Za’atari. Peró, questa immagine dell’abitante del campo profughi non racchiude l’intero significato della parola rifugiato. Soprattutto qui in Giordania, la maggior parte dei profughi – siano essi palestinesi, siriani, iracheni, yemeniti, somali o sudanesi- vivono in città, come Irbid, Mafraq e Amman.

Hashemi Al-Shamali non è un quartiere antico, eppure ha una grande significanza storica. Infatti, è nato con l’afflusso di rifugiati palestinesi che scappavano dall’occupazione israeliana durante la Nakba (che in arabo significa catastrofe) nel 1948. Piano piano, le tende improvvisate si sono trasformate in un campo rifugiati sempre più grande. Con il passare degli anni, per soddisfare i crescenti bisogni dei loro abitanti, le tende si sono trasformate in case e così è nato un nuovo quartiere di Amman. Gradualmente, i primi cittadini del campo si sono trasferiti in altre aree della città, lasciando posto ai nuovi arrivati e ai più bisognosi. Con il tempo questo quartiere a maggioranza palestinese, si è riempito di rifugiati Iracheni, poi Siriani, Yemeniti, e così via, riflettendo le crisi e la storia del Medio Oriente. Più di 70 anni dopo la sua nascita, Hashemi Al-Shamali rappresenta il primo approdo e porto sicuro per i profughi in arrivo ad Amman.

Storicamente un quartiere povero, Hashemi Al-Shamali non aveva molte bellezze da offrire ed era spesso considerato un luogo pericoloso, da evitare. Eppure, negli ultimi 10 anni questo quartiere ha assistito a un processo di riqualificazione degli spazi comuni, un movimento nato dagli abitanti stessi del quartiere.
Suhaib Hattar, di origine palestinese, ma nato e cresciuto ad Hashemi Al-Shamali, sognava di riempire i muri delle squallide case governative del suo quartiere con opere d’arte. E cosí ha fatto, incominciando con un enorme ritratto di una ragazza rifugiata di Azraq che indossa una felpa con cappuccio di Topolino. Ha continuato con il dipinto di una donna in abiti tipici palestinesi, la scritta “l’arte è l’ambiente”, e molti altri. Altri artisti hanno seguito l’esempio di Suhaib e hanno riempito i muri di Hashemi con simboli tipici della tradizione palestinese, frasi che sottolineano l’importanza dell’arte, dell’ambiente, la forza delle donne e il potenziale dei bambini. Oggi, questo quartiere è diventato un museo a cielo aperto per i visitatori più attenti, sia locali che stranieri.

Penso che Hashemi Al-Shamali nel suo piccolo sia una buona rappresentazione della Giordania intera. Un luogo semplice, che nasconde delle grandi bellezze, e che offre rifugio a chiunque ci approdi, senza chiedere il perché.

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