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Paesi di intervento
di Micol Simonato, volontaria nell’ambito del Servizio Civile Universale in Libano
Da quando sono arrivata qui in Libano, mi sono trovata catapultata in un vortice di emozioni così contrastanti da faticare a capire il mio stare. Delle montagne russe emotive che ben si conciliano con il paesaggio urbano di Beirut. È facile qui scoprire nel bel mezzo del grigiore dei grattacieli, di questa modernità priva di ogni riferimento culturale e di ogni ideale di bellezza, una palazzina antica che conserva ancora lo splendore della tradizione; un negozietto di antiquariato con due anziani proprietari pronti ad offrire caffè e qualche chiacchiera ai passanti; un piccolo bar orgogliosamente comunista nel mezzo del nulla, un graffito che ridona colore al quartiere.
Devo ammettere che il Libano, per quanto ancora lo stia pian piano scoprendo, non mi ha affascinata in quel modo stravolgente che mi aspettavo prima di partire. Eppure a volte dei piccoli frammenti di questo Paese mi hanno fatto battere il cuore. Uno di questi è stato l’incontro con i ragazzi e le ragazze di Tiro Arts Association, un’organizzazione impegnata nella ristrutturazione e riabilitazione di spazi culturali. Incontrati in un teatro a Tripoli nell’ambito del progetto di ARCS Erasmus +, ne sono rimasta completamente ammaliata. Giovani di diverse nazionalità e vissuti si sono impegnati nella ristrutturazione di un teatro chiuso da quasi 30 anni. Tra fatica, sudore e polvere si sono scoperti parte di un gruppo appassionato e volonteroso di ridonare e divenire luce nel bel mezzo dello scialbore, dello sconforto e della disillusione di un Paese che sta sempre più cadendo nel baratro.
Come loro stessi ammettono, il teatro lì ha uniti, costruendo pian piano una famiglia priva di barriere culturali e identitarie. Il teatro li ha spronati a mettersi in gioco e superare degli ostacoli mentali e geografici creando legami tra nord e sud del Libano, così come tra libanesi e rifugiati palestinesi e siriani. L’aspetto che più mi ha colpito dell’incontro è stato percepire l’importanza e gli obiettivi così personali che ognuno di loro conferiva al progetto. Il ragazzo siriano, approcciatosi all’associazione con nulla in tasca e nessuna esperienza che ha poi scoperto grazie a questa doti recitative e di fotografia e ne è divenuto negli anni project manager, sogna che le attività culturali proposte dall’organizzazione e la sua stessa esperienza di vita possano divenire esempio per altri ragazzini rifugiati. Chi ha trovato come uscire da un passato di droga ora spera che quel luogo di cultura e gioco possa offrire uno spazio sicuro per bambini e giovani allontanandoli dalle bruttezze devianti della vita di strada. E poi chi, follemente innamorato della propria città, ha messo impegno e cuore ricordando e sognando un passato tripolitano culturalmente vivo.
Dopo quasi un mese, sono ritornata a Tripoli per l’inaugurazione di quel teatro. Tre giorni di festa, di danze tradizionali palestinesi, di spettacoli teatrali. Vedere la soddisfazione e l’orgoglio di quanto realizzato negli occhi dei ragazzi e delle ragazze è stato commovente. Un fuoco, una passione e una resilienza che mi ha letteralmente scaldato il cuore.
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