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Paesi di intervento
di Marco Boriglione, volontario di Servizio Civile Universale a Cuba.
“Non mi piace essere chiamato artista, sono contento quando mi chiamano professore”. Con queste poche parole Osvaldo si presenta a me e a un piccolo gruppo di partecipanti del workshop di fotografia sociale organizzato da ARCS. Lo scopo delle mattinate con la macchina fotografica è quello di girare in piccoli gruppi ed inquadrare immagini dentro quartieri dove si è in visita, talvolta anche entrando in luoghi al chiuso.
L’altro giorno siamo entrati nell’abitazione di questo amato scultore grazie a Monica, insegnante di arti visive presso la Casa della Cultura di Arrojo Naranjo, e sua ex allieva come tante altre persone nel quartiere. Entrando siamo immediatamente circondati dal colore caldo del legno, il quale assume le forme più svariate stimolando i nostri occhi a osservare queste opere e ad immaginarne il processo creativo.
Gli anni si fanno sentire. Osvaldo ci raggiunge camminando a fatica, ci spiega che il suo problema alla gamba gli impedisce di uscire con continuità per andare a dare lezioni. Nonostante ciò, una volta seduto di fronte a noi, pur parlando con una voce lenta e provata, le sue parole assumono immediatamente una forza intensa tanto da catturarci nel suo racconto.
Un’infanzia fatta di difficoltà in famiglia, la necessità di perdere le giornate dentro il cimitero di Colòn a La Havana a copiare con una matita su foglietti di carta il disegno delle statue presenti. Una passione irrefrenabile, che lo accompagna sin da bambino. E poi l’arrivo della rivoluzione, la possibilità per lui di accedere e studiare tanti corsi differenti: disegno, pittura, incisione prima di iniziare a dedicarsi principalmente al suo amore maggiore, la scultura in legno.
Risponde a tutte le nostre domande, in questo modo passa più di un’ora e mezza senza che ce ne rendiamo conto. Chi è con me mi fa notare la bellezza delle sue mani, che davanti a noi si muovono con la giusta intensità quando assecondano e modellano la costruzione delle frasi che proferisce.
“Per me i riconoscimenti, i premi, hanno un’importanza minore rispetto alle enormi soddisfazioni suscitate dal veder crescere i miei allievi e dal vedere come tramite la divulgazione più estesa possibile dell’arte si crei un fortissimo legame comunitario. Questa dove vi accolgo è la mia casa ma la Casa della Cultura dove ho potuto accogliere ed insegnare a centinaia e centinaia di allievi lungo tantissimi anni è ugualmente la mia dimora, e non poter andarci mi ferisce moltissimo”.
Il nostro dialogo raggiunge un momento in cui, dietro lo spessore delle lenti dei suoi occhiali, è possibile vedere i suoi occhi lucidi. L’emozione lo pervade quando ripensa alla sua gioventù dove nell’isola cubana tutto cambiò e lui lesse in quel cambiamento la possibilità di assecondare i suoi fortissimi desideri ed iniziare la strada per scoprire e scolpire se stesso.
Per questo nella successiva piena maturità sceglierà di concentrarsi nelle sue opere alla rappresentazione della Cubanìa, quel concetto che cerca di esprimere i valori e la composizione sociale della nazione cubana, ossia una nazione che ha storicamente raccolto individui, suoni, culture, ferite, provenienti dai luoghi più disparati, che riescono a convivere in uno stesso posto, grazie anche al lavoro sincretico di attenzione al comunitario realizzato da persone come Osvaldo, il professore più che l’artista.
Andiamo via, non privi di una certa malinconia dettata dall’intensità del momento, ci portiamo dietro un regalo che ha voluto farci: una sua scultura. Perché ci ha detto “sono riconoscente a chi è attento alla condivisione del tempo e della cultura”. Ci resta addosso un suo oggetto, ma più che altro tutto il suo sentimento.
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