14Novembre2022 Foto che raccontano storie, documentano realtà, affrontano la sofferenza

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testimonianza dal workshop fotografico “Habana Dentro”.

Circa un anno fa ho deciso di dedicarmi alla fotografia. Ad oggi sono felice di poter dire che questa è la mia principale fonte di reddito. Ho sempre sottovalutato la fotografia sociale, per me si trattava di catturare un bel momento e basta. Bastava essere attenti e premere un pulsante. Poi ho iniziato a frequentare il laboratorio di Giulio Di Meo e tutto è cambiato. Io sono cambiato. Ho capito che una foto non deve essere bella solo esteticamente, e anzi, questo non è neanche l’obiettivo principale. “Una foto deve raccontare una storia”.

Come riuscire a raccontare in un’immagine la storia che si ha davanti agli occhi? Per me questo è oggi un dilemma, controverso, quasi al pari di “Essere o non essere”. Ci sono talmente tante storie e modi diversi di rappresentare situazioni simili! Quanto posso raccontare con una foto? Robert Capa avrà pensato lo stesso rispetto alle sue foto sulla Seconda Guerra Mondiale? Professionalmente, sono pieno di dubbi che mi rendono terreno fertile per la sperimentazione, e che segnano di per sé un obiettivo che, a dire il vero, spero di coltivare per tutta la vita.

Dal punto di vista sociale, ho avuto la bellissima opportunità di condividere questa esperienza con un gruppo di persone che mi sembra di conoscere da tutta la vita. Tutte persone così diverse, ma unite dalla stessa passione. La fotografia. Fanno parte di quella famiglia, che non ha legami a livello genetico. Una famiglia di amici.

Un giorno, una persona mi ha detto: “Perché fate tante foto? Tanto non servono a nulla, non sono quello di cui ho bisogno”. Probabilmente, non cambieremo la situazione di una o più persone e/o comunità con le nostre foto, però saremo in grado di documentare le realtà, che molti ignorano, chiudendo gli occhi, perché troppo dolorose. Documentare, mostrare e sperare che la storia dietro all’immagine che scattiamo, sia il più possibile vicina alla realtà che abbiamo davanti agli occhi. La nostra fotografia rappresenta con un’immagine il legame tra anime casuali e coscienze specifiche. Succede, che rimaniamo legati alle comunità, ci impegniamo in attività sociali che sono alla nostra portata, alleggerendo il peso delle situazioni che vediamo. Restituendo un po’ di tutto l’amore e l’ospitalità con cui le persone ci hanno accolto.

Se non potete cambiare una situazione che vi fa soffrire, potete sempre scegliere con che atteggiamento affrontare questa sofferenza.

foto di Lucia Zullo


Desde hace aproximadamente un año decidí dedicarme a la fotografía; a día de hoy me complace decir que mi fuente principal de ingresos es esta. Siempre había subvalorado la fotografía social, para mí era sólo captar un buen momento y listo… solo debías estar atento y apretar un botón –Jajajaja-. Luego empiezo en el workshop de GiulioDi Meo y todo cambió… yo cambié.

 Entendí que una foto no solo es bella estéticamente hablando, y mucho menos, es este el objetivo principal, “una foto debe contar una historia”. ¿Cómo ser capaces de contar en una imagen la historia delante de tus ojos? Este es para mí hoy día un enigma tan polémico como el “Ser o No Ser”. ¡Fueron tantas historias, y tantas formas diferentes de asumir relativamente las mismas condiciones! ¿Qué tanto puedo contar con una imagen?, ¿Robert Capa se habrá sentido igual sobre sus fotos de la segunda guerra mundial? Profesionalmente estoy lleno de dudas que hacen de mi un terreno fértil a la experimentación, y que marcan en sí mismas una meta que, siendo sincero, llevo esperando toda mi vida consiente.

En el aspecto social, tuve la gratificante oportunidad de compartir esta experiencia con un grupo de esas personas que crees que conoces de toda la vida… Todos con un tornillo suelto, ¡tan diferentes unos de otros! Pero aunados por una misma pasión… la fotografía. De ellos solo queda decir que para mí ya forman parte de esa familia que nos vamos construyendo sin limitación genética. La familia de amigos.

En una comunidad, un habitante me dijo… “Para qué tanta foto, eso no cambia nada, no es lo que necesito”… No está en nuestras manos cambiar la situación de una o más comunidades, lo que si está, es documentar esa realidad a la que muchos cierran los ojos solo por evitar el dolor de tener que reconocer que existe; documentar, mostrar y esperar que la historia en la imagen sea lo suficientemente real como ante nuestros ojos. Nuestra fotografía sería una carta visual entre un alma cualquiera y una conciencia específica. En lo que sucede el cambio, quedamos atrapados en esas comunidades haciendo labores sociales a nuestro alcance; alivianando la carga de algunos días, devolviéndoles un poco de todo el amor y hospitalidad con que nos acogieron.

Si no está en tus manos cambiar una situación que te produce dolor, siempre podrás escoger la actitud con la que afrontes ese sufrimiento.

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