16Dicembre2022 Donne per le donne, la storia di Isabelle

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di Elisa Giacomelli, volontaria di Servizio Civile Universale in Camerun.

Per raccontare come procede il Progetto ELLE in Camerun, partiamo dalla storia di una delle donne partecipanti, che l’anno scorso ha presentato una proposta di microprogetto – risultato in seguito tra quelli selezionati – a nome di un gruppo di donne della città di Bafoussam. In occasione di un “Atelier di formazione sul gender mainstreaming nelle organizzazioni e nei progetti di sviluppo”, attività proposta di recente da ARCS in collaborazione con i suoi partner locali nella Regione dell’Ovest, abbiamo avuto modo di fermarci a parlare con lei e farci raccontare dai suoi “occhi sul terreno” come l’indipendenza economica e lavorativa di donne e giovani, promossa nell’ambito del Progetto ELLE, sia ancora un obiettivo difficile da raggiungere per molte di loro. Questo per via di un’organizzazione sociale e politica che privilegia fortemente gli uomini nel mondo del lavoro, marginalizzando e soffocando le iniziative imprenditoriali femminili. Il Progetto ELLE contribuisce a fare la differenza, favorendone l’empowerment economico e l’indipendenza.

Isabelle* è responsabile di un’organizzazione che lavora per la protezione e la promozione dei diritti delle donne; per farci capire come il divario a livello occupazionale sia una questione di genere fortemente radicata nella cultura e nella tradizione inizia con lo spiegarci che “la donna in Camerun è ancora molto attaccata alla tradizione. Si può parlare dell’Ovest come di un “grande villaggio,” i dipartimenti dell’Ovest prima erano rurali, ma progressivamente si stanno urbanizzando. Nonostante ciò, però, molte donne restano attaccate alla tradizione: ci sono ancora molti genitori che non permettono alle figlie di frequentare la scuola, oppure, di farlo ma solo fino determinati livelli” racconta Isabelle. Le statistiche mostrano che il tasso di frequentazione scolastica di bambine e adolescenti, se comparato con quello della loro controparte maschile, di fatto cala drasticamente con l’alzarsi del grado d’educazione. Infatti, aggiunge Isabelle “nell’Ovest si pratica la cosiddetta discriminazione sessista, che vuol dire che se per esempio in una famiglia ci sono 5 bambini: 2 maschi e 3 femmine, il padre tenderà a far lavorare le figlie. Loro lavorano nei campi o fanno piccolo commercio, e poi il padre utilizza i soldi guadagnati dalle figlie per pagare le tasse scolastiche dei fratelli maschi”.

Diventare chef d’enterprise per le donne non è facile, continua a raccontarci Isabelle, poiché “nel momento in cui una donna diventa economicamente e finanziariamente autonoma può riscontrare dei problemi in famiglia. Se i guadagni iniziano a salire, il marito inizierà a domandare da dove vengono i soldi”, fa notare Isabelle, specificando poi che secondo lei “questo riguarda il 75% delle donne dell’Ovest, mentre il rimanente 25% di donne più emancipate non ha di questi problemi”. Anche a fronte di situazioni del genere, le donne raramente denunciano le violenze fisiche o psicologiche subite, un dato che Isabelle attribuisce al “potere della tradizione”: denunciare il proprio marito equivale infatti a fare “gomna”, che si traduce a grandi linee con volerlo mettere in prigione e dunque in qualche modo volerne la morte.

Gli stereotipi e la violenza di genere non sono gli unici fattori che impediscono alle donne di raggiungere l’indipendenza economica; per darci il senso di come sia l’organizzazione politico-sociale stessa a porre il genere femminile in posizione di svantaggio, Isabelle ci fa l’esempio dell’eredità della terra. “Coltivare la terra è una delle principali attività generatrici di reddito per le donne dell’Ovest, ma la terra che coltivano non appartiene mai a loro. Infatti, nel momento in cui una donna si sposa, deve lasciarsi alle spalle la famiglia d’origine per andare a coltivare le terre della c.d. “belle famille” (famiglia acquisita) e nel fare ciò”, sottolinea Isabelle, “la donna diventa un oggetto, un “bene” della famiglia acquisita. A ciò si aggiunge che qualora la donna scelga di rientrare dalla sua famiglia di origine per coltivare la terra, i fratelli possono rifiutarlo perché le figlie tradizionalmente non possono ereditare la terra di famiglia”. Così, nonostante siano la principale forza lavoro nei campi, risulta estremamente difficile se non impossibile per queste ultime ottenere l’autonomia nella gestione del proprio lavoro.

Isabelle ci racconta che a fronte degli ostacoli incontrati dalle donne nel raggiungere l’indipendenza economica, lo scopo della sua organizzazione è di accompagnare gruppi di donne in condizione di vulnerabilità, che vivono nella sua città (Bafoussam), verso l’acquisizione degli strumenti necessari, per poter mettere in piedi attività generatrici di reddito, (produzione di saponi, di aceto, montaggio di parrucche, sono solo alcuni esempi). “Le donne che seguiamo”, specifica, “spesso vengono da famiglie povere, si tratta di donne madre, alcune affette da patologie, come ad esempio l’AIDS, portatrici di handicap, sopravvissute a violenza di genere (GBV), di giovani donne sfollate interne, vedove e donne che hanno chiesto il divorzio”.

Isabelle torna così al tema principale, quello di ricercare iniziative come il Progetto ELLE in grado di aprire nuove strade verso l’indipendenza finanziaria delle donne seguite dalla sua organizzazione: “formare le giovani donne in un’attività generatrice di reddito è fondamentale ma non basta, bisogna andare oltre, rafforzare le loro capacità e creare dei partneriati, per poterle lasciare con i mezzi necessari per portare avanti con successo le loro attività. Il Progetto ELLE risponde a questi bisogni,” ci dice. Oltre ad offrire accompagnamento e sessioni di coaching per l’avviamento di microimprese, mette a disposizione supporto materiale e finanziario per i microprogetti che segue. A breve (metà dicembre) nell’ambito del progetto verrà organizzata anche una “Fiera dell’Innovazione Imprenditoriale” (FIE) al fine di promuovere buone pratiche in materia di micro-imprenditoria locale ed aumentare la visibilità delle microimprese finanziate e delle loro attività. Sono previste aree di esposizione dei loro prodotti e sarà dato spazio alle testimonianze dirette dei beneficiari. La FIE rappresenta anche l’occasione per le start-up di prendere contatto con le autorità amministrative e locali, che faciliteranno loro l’accesso ai servizi disponibili, ad informazioni relative ai loro settori di attività e ad eventuali altri programmi di sostegno o iniziative di promozione sul territorio.

Isabelle, conclude così il suo discorso sulle implicazioni della disuguaglianza di genere a livello economico-sociale e ci saluta per proseguire verso il suo prossimo impegno.

*nome di fantasia.

 

 

Foto di Francesco Grilli.

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