06Febbraio2023 Una voce per chi non ha voce

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Andrea Cocco*, racconta l’esperienza della produzione audio come strumento “sociale”, nell’ambito del progetto REACT-IN, finanziato dal programma Erasmus Plus, e coordinato da ARCS

Si parte da una voce per provare a raccontare una persona. Si modula la tonalità per restituire tutti i dettagli. Maneggiare le storie delle persone implica il doverle trattare con cura. Condividerle, facendo in modo che il racconto rimanga autentico e personale.

A spiegarlo è Andrea Cocco, giornalista radiofonico e di documentari audio. Un legame, quello con la radio, nato vent’anni fa, che si declina oggi, nell’idea di dar voce a chi non ne ha. Una radio attenta alle questioni sociali, partecipata, che agisce come mezzo per avvicinare le persone, per rompere barriere e superare determinate divisioni presenti all’interno della società.

Noi, lo abbiamo intervistato per provare ad indagare e capire meglio il pensiero che muove il suo modo di fare “radio”.

Come mai l’utilizzo del podcast per comunicare questioni sociali? Quale, pensi che sia la differenza con gli altri “medium”?

Io credo che ogni strumento abbia il suo linguaggio. La carta stampata, i social, il video. Dipende da come li utilizzi. Il vantaggio della radio è che è uno strumento molto leggero. Sicuramente meno invasivo nel rapporto con le persone, per instaurare un dialogo che poi viene registrato. Inoltre, nel momento in cui viene restituito a un pubblico, l’audio ha la capacità di creare connessioni. La parola parlata senza immagini è in grado di avvicinare molto chi parla e chi ascolta. Per questo, uno degli obiettivi di lavorare con l’audio in determinati contesti sociali, è proprio quello di creare coesione attraverso le storie e la voce di chi le racconta.

Come credi che questo strumento possa produrre inclusione sociale e partecipazione attiva?

La prima cosa che mi viene in mente è la possibilità di dare voce a chi non ne ha. Anche qui può essere più semplice organizzare un laboratorio in cui le persone parlano al microfono rispetto al lavorare con la televisione o con i video. Immaginiamo persone che normalmente all’interno della società vengono marginalizzate, o la cui voce non è considerata abbastanza autorevole da essere ascoltata. Ecco, attraverso la produzione audio si lavora per dare la fiducia, l’orgoglio e l’autorevolezza a queste persone di poter occupare uno spazio pubblico attraverso la loro parola. “Dire la propria” è un passaggio che crea una rottura rispetto ad una condizione originaria di marginalizzazione.

L’altro punto è poi, quello di creare ponti. Tra ascoltatori e le persone che prendono parola. Distanti o vicini che siano, a livello geografico. Avvicinare, favorire la coesione. Dare la consapevolezza a chi ascolta che siamo simili nelle diversità.

Stai collaborando con ARCS, attraverso “Sound Action”, un workshop online improntato su produzione audio e partecipazione. Ce ne parli?

Si. “Sound Action” è realizzato nell’ambito di REACT-IN, un progetto coordinato da ARCS, con l’obiettivo di migliorare strumenti e competenze di formatori e formatrici che si occupano di inclusione di giovani siriani in Libano, Turchia e Giordania. Il workshop è stato impostato come un percorso collettivo, che utilizza la produzione audio e il podcasting come mezzi di inclusione e partecipazione attiva. Da molti anni lavoro, per perseguire questi obiettivi, attraverso l’audio, adattandoli ai vari contesti in cui mi trovo ad operare. REACT-IN per me ha rappresentato una novità. Per la prima volta mi sono trovato a formare dei formatori. A fornire loro gli strumenti per poter utilizzare le produzioni audio nelle realtà sociali in cui sono coinvolti.

Ultima domanda. Ci descrivi una lezione tipo?

Mi piace la possibilità di affiancare a un insegnamento molto pratico e teorico, anche dei momenti di scambio con realtà diverse che praticano radio, audio, podcast in ambito sociale, impostati secondo una linea di co-partecipazione, di racconto condiviso. Abbiamo ascoltato la testimonianza di “Radio Ghetto”, nata per dar voce alle comunità che vivono nelle campagne del foggiano, o ancora, abbiamo ospitato una realtà che viene dal Belgio, che ci ha raccontato l’utilizzo della radio in strada, in contesti considerati malfamati, o all’interno di associazioni giovanili. Trovo che REACT-IN sia un esperimento interessante, uno strumento in grado di creare scambi, condivisione e partecipazione.

*Autore di documentari e reportage radiofonici principalmente per Radio Svizzera, da anni sviluppa laboratori radio per la creazione di produzioni partecipate in carcere, nelle scuole, all’interno di associazioni ecc. 

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