02Novembre2023 Sfide allo sviluppo sostenibile. Racconti dal deserto di Lompoul

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di Giacomo Fabris, volontario in Senegal nell’ambito del Servizio Civile Universale

21 ottobre 2023. L’ultimo tratto della strada che porta a Lompoul attraversa una riserva naturale comunitaria. Fuori dal finestrino del taxi che ci accompagna al villaggio, una distesa di eucalipti affonda le proprie radici nella sabbia e dona stabilità alle dune. L’auto si ferma accanto ad un piccolo mercato gestito da alcune signore peul che, sorridendo, ci invitano a comprare qualche collana nell’attesa che il fuoristrada dell’Ecolodge ci venga a prendere. Una volta arrivati all’accampamento riceviamo il benvenuto di A., il responsabile della struttura. Il clima è disteso: seduti sulle straio, altri clienti – per lo più toubab (
bianchi) come noi – si riposano all’ombra degli alberi, attendendo che i raggi del sole si facciano un po’ più miti. Nel frattempo, i bambini si rotolano nella sabbia e salgono in sella ai dromedari; i più grandi si avventurano in passeggiate solitarie fra le dune. Per quanto si tratti di un’atmosfera ricreata per andare incontro ai gusti del turista occidentale, sembra davvero di trovarsi in un’autentica oasi di pace. Nessun presagio del cambiamento in arrivo. Arriva così il tramonto e dunque il buio. Un gruppo di giovani percussionisti ci fa scatenare prima della cena, poi le luci si spengono e restiamo a guardare le stelle. L’indomani, poco prima di ripartire, mi fermo a scambiare qualche parola con A. Non appena mi siedo, chiama una cameriera e chiede che mi venga portato un bicchiere di ataya (thé alla menta). Mentre beviamo, dice che a breve le ruspe risaliranno la costa e cominceranno il lavoro di appianamento delle dune. Entro una settimana le tende dovranno essere smontate. «E questi alberi?» «Verranno tutti tagliati: gli eucalipti, i filao… Sono preoccupato per i dipendenti: le cuoche, i baristi e i camerieri, gli autisti, il personale delle pulizie, i fornitori di carne, pesce e verdure, gli insegnanti di djembe, le artigiane del villaggio… La nostra economia ruotava intorno all’Ecolodge e adesso tutti quanti perderemo il lavoro.» «Ma l’amministrazione comunale che dice?» «Ah, cosa vuoi… Hanno provato a trattare ma questi toubab fanno ciò che vogliono…» «Pensi che si riuscirà a trovare una soluzione alternativa? Non lo so, come minimo vi verrà assegnato un nuovo terreno?» «Inshallah…»

Lompoul è una piccola località della regione di Louga, situata nell’area nord occidentale del Senegal, a pochi chilometri dall’Oceano Atlantico. Nonostante si tratti di un villaggio rurale, isolato rispetto ai grandi centri urbani come Dakar o Saint-Louis, gode di una certa fama dovuta alla presenza dell’Ecolodge. Si tratta di un campeggio inserito nell’unico deserto naturale del Paese e che pertanto rappresenta la principale attrazione turistica della zona; o meglio, dovremmo cominciare a dire “che ha rappresentato”, dato che la struttura – e con essa anche l’economia dell’intera comunità – si appresta a subire una dura battuta d’arresto.

A partire dal mese di novembre di quest’anno, l’area sarà infatti interessata da un imponente progetto di estrazione dello zirconio, un metallo prezioso largamente utilizzato nell’industria nucleare e nella produzione di automobili e gioielli.[1]Attualmente, il Senegal ne detiene uno dei giacimenti più importanti al mondo. Già nel 2014, una compagnia estrattiva controllata per la quasi totalità da un’azienda francese aveva ottenuto le concessioni per poter sfruttare le miniere che si estendono lungo una porzione di costa senegalese lunga più di cento chilometri, entro la quale è racchiusa anche la comunità di Lompoul.[2] Ora, dopo anni di attese, ritardi e qualche tentativo di contrattazione da parte delle istituzioni locali, le tende del campeggio dovranno finalmente cedere il posto alle macchine scavatrici.

Siamo venuti a conoscenza della situazione grazie ad un’attività connessa al nostro progetto di Servizio Civile Universale. Nella città di Louga, infatti, collaboriamo con l’associazione culturale FESFOP, che da oltre vent’anni organizza eventi culturali e promuove esperienze di turismo responsabile all’interno della regione. In fase di revisone e progettazione dell’itinerario da proporre alle compagnie di viaggio, eravamo certi che l’Ecolodge avrebbe costituito una tappa imprescindibile del nostro programma. Ci siamo quindi dovuti ricredere di fronte alle notizie che parlavano di una sua imminente chiusura.

La fine del deserto di Lompoul rappresenta una sconfitta su più fronti, prima di tutto dal punto di vista naturalistico. Con buona probabilità, l’espansione delle attività estrattive decreterà la fine di un ecosistema – è bene ripeterlo – unico per il Paese. Dal punto di vista culturale, sociale ed economico, invece, teniamo conto di quanto la sottrazione di queste terre andrà ad impattare le attività tradizionali come l’agricoltura, l’allevamento o la pesca. Infine veniamo all’ultimo aspetto, che piccola in parte tocca anche il nostro lavoro di civilisti: in un contesto economico come quello senegalese, fortemente incentrato sul turismo e pertanto già indebolito dopo anni di pandemia, l’improvvisa perdita di un’attrazione come l’Ecolodge scatena un’onda di incertezza e precarietà che si riversa sul prossimo futuro.

Come volontari inseriti in un progetto di Servizio Civile che punta alla partecipazione socio-economica delle nuove generazioni, ci troviamo ad operare in un contesto non sempre facile. La sfida più grande, mi verrebbe da dire, consiste nel fare i conti con la sensazione di scoraggiamento che viene vissuta dai nostri coetanei. La maggior parte delle persone con cui ci interfacciamo ha perso la fiducia nelle istituzioni e non riesce a trovare nel proprio Paese delle opportunità lavorative stabili e ben retribuite. Dall’altro canto, le grandi aziende straniere – in questo caso europee – continuano la loro opera di acaparramento delle risorse, riproponendo dinamiche neocoloniali che sono sinonimo di esclusione ed impoverimento per chi, in quelle terre, vi abita da generazioni. Al che l’emigrazione rimane per molti l’ultima chance da giocare.

Ambienti “in bilico” come quello dell’Ecolodge sono lo specchio di questi problemi. Ci impongono di concentrarci su un oggetto controverso che sfida lo sguardo, interrogando il nostro presente e – più nello specifico – il nostro ruolo di volontari: come promuovere uno sviluppo che sia davvero “sostenibile”? Quale può essere il nostro contributo in tal senso? O ancora, per ritornare un’ultima volta al caso di Lompoul, cos’è davvero “deserto”, quello che c’era prima o quello che verrà dopo?

[1] https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/08/09/au-senegal-la-ruee-vers-le-zircon-menace-le-desert-de-lompoul_6184948_3212.html

[2] https://www.au-senegal.com/le-desert-de-lompoul-en-sursis,16140.html?lang=fr

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