13Novembre2023 Che cos’è la libertà di movimento? Alcuni spunti di riflessione

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di Tiziano Antonazzo, volontario del Servizio Civile Universale in Giordania

L’Articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani riconosce la libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato, e il diritto di ogni individuo a lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e a farvi ritorno [1].

Mi chiamo Tiziano, ho 27 anni, vengo da Udine, e sto prestando servizio civile in Giordania. Per entrare nel Paese mi è bastato il mio passaporto italiano: su di esso è stato applicato un visto al mio arrivo all’aeroporto di Amman, che mi è stato consegnato dopo una ventina di minuti di fila appena sceso dall’aereo. Non mi è stato chiesto molto, solo per quale ragione io fossi qua, dove avrei risieduto in Giordania, e una piccola somma di denaro. Se la ragione non fosse stata un lavoro, ma del semplice turismo, mi sarebbe stato dato un visto della durata di tre mesi senza farmi alcuna domanda, per l’equivalente di circa 50 euro.

Nonostante questa formulazione apparentemente chiara, esiste una contraddizione piuttosto importante tra il diritto degli individui a spostarsi liberamente e quello degli Stati a limitare questa libertà attraverso la propria legislazione. Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, adottato dalle Nazioni Unite nel 1966, afferma all’Articolo 12 che tale diritto non può essere sottoposto a nessuna restrizione “tranne quelle che siano previste dalla legge, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libertà” [2].
Ad Amman ho una vita che possiamo definire normalissima: mi muovo liberamente in città e nel Paese, e ho libero accesso a diverse opportunità di lavoro e svago; il mio status e le mie possibilità economiche mi consentono di entrare e uscire dal Paese quante volte io voglia; quando sono stato fermato per strada dalle forze dell’ordine, un semplice controllo di una copia del mio passaporto è stato sufficiente a farmi passare; se lo volessi, potrei guidare una macchina a noleggio utilizzando la mia patente italiana; ho accesso al sistema sanitario pubblico, pagando i servizi a cui accedo – niente che un’assicurazione contratta prima della partenza non possa coprire a un prezzo per me accettabile.

La Giordania, come altri Paesi del Sud del mondo, ospita un cospicuo numero di stranieri. Nonostante le sue dimensioni piuttosto limitate (89.342 km², di cui circa l’80% è costituito da zone desertiche difficilmente abitabili) [3] e la scarsità di risorse – soprattutto idriche – che lo caratterizza, secondo un recente studio il Regno Hashemita si trova all’ottavo posto a livello mondiale per numero di residenti stranieri sul proprio territorio [4]. I dati più recenti riportano una presenza sul suolo giordano di 3.346.703 migranti internazionali (pari a circa un terzo dell’intera popolazione) [5], soprattutto siriani, iracheni e yemeniti. Di questi, oltre 760.000 sono registrati come rifugiati presso l’UNHCR – l’88% dei quali ha nazionalità siriana [6]. La maggior parte degli altri, invece, è considerata “ospite”: non godono dello status di rifugiato, né tantomeno hanno la possibilità di richiederlo, cadendo quindi in un vuoto legislativo e istituzionale che li condanna a un’esistenza precaria nel territorio giordano, impedendo loro allo stesso tempo di poterlo lasciare con facilità.
Oltre ai “migranti” strictu sensu, la Giordania conta anche un elevato numero di expatriates – come riporta la stessa fonte locale precedentemente citata [7]. Con expatriates – o expats, nella sua ormai diffusa variante colloquiale – si fa abitualmente riferimento a persone che risiedono, di solito temporaneamente, in un Paese diverso da quello in cui sono cresciute [8]; il termine è tuttavia spesso usato in contrapposizione a immigrants, “immigrati”, sottolineando come i primi si spostino per lavoro in virtù del loro più alto livello di istruzione – esistente o percepito come tale – e ponendoli quindi su un piano di superiorità rispetto ai secondi [9].

La comunità locale, con la quale interagisco quotidianamente sia dentro che fuori dall’ambito lavorativo, mi considera un àjnabi, uno “straniero”. Questo termine non ha necessariamente una connotazione negativa: gli abitanti di Amman sono più che abituati a relazionarsi con ajànib (plurale di àjnabi, ndr) provenienti da vari Paesi, siano essi turisti o lavoratori. I membri di questa comunità, di cui di fatto faccio parte, amano riferirsi a se stessi come expats – termine che, per altro, ci viene affibbiato dagli stessi giordani in lingua inglese, quasi fosse un equivalente dell’arabo ajànib. Nonostante tutto di me renda evidente che sono un àjnabi/expat (il colore della mia pelle, i vestiti che porto, il mio accento quando parlo arabo), interagisco molto liberamente con i miei coetanei locali, con i quali condivido tempo libero, divertimenti, aspettative, ambizioni e desideri.

Quella narrata in questo articolo è la mia storia. Ho deciso di raccontarla per offrire un esempio positivo del diritto alla libertà di movimento, un diritto di cui io sto godendo in quanto expat italiano. Nel corso dei prossimi mesi, io e la mia collega Francesca cercheremo di dare voce ad altre storie, di persone che incontreremo nel nostro percorso qui in Giordania e che, per un motivo o per un altro, non godono della nostra stessa libertà. Speriamo così di stimolare, in chi legge ma prima di tutto in noi stessi, una riflessione: che cos’è la libertà di movimento? È un diritto? O è piuttosto un privilegio? È veramente universale, o ne godono appieno solo alcune persone? Quali sono le condizioni – materiali e non – che ne influenzano il pieno godimento?
Farsi queste domande, crediamo, è sicuramente un esercizio utile in un contesto globale in cui la libertà di movimento di molti viene continuamente limitata o minacciata. Può forse far emergere una riflessione più profonda su quelle che spesso vengono impropriamente definite emergenze, invitando a considerare che dietro a ogni fenomeno sociale ci sono persone, e dietro a ogni persona ci sono la sua storia e, soprattutto, le sue possibilità. Noi lo speriamo.

[1] Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 1948, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

[2] Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 1966, Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

[3] ‘Giordania’, Enciclopedia Treccani 

[4] Jordan News, 2023, ‘Jordan ranked 8th globally for foreign population, study finds’, Jordan News, 26 gennaio 2023

[5] World Health Organization, 2023, Refugee and migrant health country profile – Jordan.

[6] ‘Jordan; Strategy 2023’, Country Operations, UNHCR, ultimo accesso eseguito il 29 ottobre 2023

[7] Jordan News, ‘Jordan ranked 8th globally…’

[8] Mawuna Remarque Koutonin, 2015, ‘Why are white people expats when the rest of us are immigrants?’, The Guardian, 13 marzo 2015

[9] Kieran Nash, 2017, ‘The difference between an expat and an immigrant? Semantics’, BBC, 20 gennaio 2017, 

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