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“Fuori da tutti gli ospedali di Beirut si vedono madri, fratelli, persone care di chi ha perso occhi, mani, dita e che i medici di tutto il paese stanno provando a curare in un sistema sanitario al collasso. A tutte e tutti viene chiesto di non intasare le strade e donare sangue, mentre si aspetta il discorso del leader di Hezbollah previsto per giovedì pomeriggio, e si fa seria la possibilità di un’invasione definitiva dal confine sud del paese da parte di Israele” queste le parole di Virginia Sarotto, cooperante in Libano di ARCS Culture Solidali, attualmente a Beirut.
Siamo sull’orlo del baratro. In seguito alle esplosioni dei cercapersone dello scorso 17 settembre, sui telefoni dello staff locale di ARCS sono iniziati ad arrivare decine di messaggi e video sull’accaduto e sui protocolli di sicurezza. Le prime reazioni sono state di stupore e disorientamento per quello che stava accadendo. Poi si è iniziato a chiamare amici e parenti per sapere se fossero sani e salvi. Il bilancio dell’attacco saranno 3 mila operativi di Hezbollah feriti, oltre che l’ambasciatore iraniano, e 9 persone uccise, tra cui bambini e bambine. Dal pomeriggio di martedì nelle strade delle città colpite si sentono ambulanze di continuo, gli ospedali sono pieni di persone ferite al volto, agli arti superiori e allo stomaco colpite mentre erano al mercato, in auto, per strada. Mercoledì pomeriggio è arrivata un’altra ondata di esplosioni che ha alzato a 32 il numero dei morti e aggiunto 450 feriti al numero del giorno prima.
“È un evento senza precedenti, sia in questa guerra che nel panorama delle strategie militari moderne; una prova di forza che ha scioccato tutte le persone che vivono in Libano e che dovrebbe scuotere tutto il mondo. Ancora una volta, come in tutti i conflitti, è la popolazione civile a pagare il prezzo più alto e a vedere le proprie vite lacerate e la propria salute mentale compromessa” conclude Virginia Sarotto.
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